Lino Dotto quando risponde al telefono ha la voce di chi non ha più lacrime. Nelle sue parole c'è la rassegnazione di un padre che ha appena perso tutto e la voglia instancabile di ricordare Alessandro ed i suoi sorrisi. "Amava il suo lavoro – racconta – anche se era un lavoro duro, dal punto di vista fisico e sotto il profilo della disciplina, ma ne condivideva a pieno i valori. Valori che aveva fatto suoi. Era solare, estroso, aveva la luce nel cuore".
Il passato è ormai d'obbligo, da quando è stato ritrovato il corpo del terzo pilota coinvolto nello scontro tra i due tornado, avvenuto martedì ad Ascoli Piceno. Partito giovanissimo da San Giusto, Alessandro Dotto aveva fatto di tutto per inseguire i suoi sogni. "Fin dalle elementari sognava di volare – continua Lino – ma noi non avevamo i soldi per il brevetto da pilota e così aveva deciso di iscriversi all'Accademia Aeronautica con risultati stupefacenti anche per noi. Era riuscito a superare una selezione in cui si erano presentati in 8 mila".
Il pensiero corre veloce alle tante ore di volo trascorse a solcare i cieli. "Certo che avevamo paura – sorride – ma era il primo a rassicurarci, quando rientrava si ricordava sempre di noi, un sms una telefonata giusto per farci stare tranquilli". Nei ricordi del papà, Alessandro ha l'allegria di un adolescente. "Aveva un rapporto speciale con la mamma – continua – quando tornava e guardavamo insieme la tv a volte lo vedevo riposare con la testa sul suo grembo, un militare quasi mammone". Le cause della tragedia passano in secondo piano. "Non ci interessa sapere cosa è successo. Purtroppo spesso chi critica le forze armate ed i militari non le conosce. Noi siamo una famiglia di contadini non di militari, ma alla base abbiamo trovato persone uniche, di grandissima umanità”.
Nel cuore è indelebile l'orgoglio per quel figlio che aveva avuto il coraggio di inseguire i suoi sogni. "Eravamo, siamo – si corregge subito – una famiglia unita, lui ci ha sempre spronati. Il destino ha voluto che lui morisse il giorno del compleanno di Alberto, il fratellino che lui aveva voluto a tutti i costi". Negli occhi è ancora chiaro il ricordo del rombo del caccia sulle case di San Giusto. "Quando lo vedevo – confessa – avevo la pelle d'oca e le lacrime agli occhi, oggi mi sono rimaste solo più le lacrime".