IVREA - E' approdata ieri in tribunale a Ivrea la delicata vicenda di una lavoratrice 30enne di Chivasso che ha denunciato l'azienda di termosanitari per la quale lavorava: colleghi e dirigenti l'avrebbero sottoposta a mobbing e body shaming quando ha annunciato di voler iniziare il percorso della fecondazione in vitro. La donna ha anche perso il bambino ed è stata licenziata. La decisione del suo trasferimento in un'altra sede, infatti, le avrebbe provocato uno stress emotivo talmente forte da causare, secondo i medici, la perdita del bimbo.
«Questa donna è stata oggetto di insulti e sarcasmo fin dal 2019 e una volta trasferita, dopo un aborto generato da forte stress emotivo, è stata anche licenziata per troppe assenze - denuncia Marco Grimaldi, vicecapogruppo dei deputati dell'Alleanza Verdi Sinistra - troppe donne sono costrette a umiliazioni continue per le pressioni di un mondo del lavoro che non riconosce il diritto alla maternità».
L'azienda avrebbe deciso per il licenziamento dopo che la donna avrebbe superato il «periodo di comporto», ovvero i giorni di assenza dal lavoro per malattia. Circostanza che i legali della donna contestano dal momento che, secondo la tesi difensiva, nessun giorno di malattia è calcolabile se provocato dalla condotta del datore di lavoro. E nel conteggio sono stati inseriti anche i giorni di ricovero per la fecondazione e quelli per l'aborto che, per legge, non possono essere conteggiati.
Per Grimaldi, in questo caso, è emerso anche «un cameratismo sessista, utilizzato per disfarsi della lavoratrice, e il disprezzo verso chi sceglie percorsi alternativi per diventare genitore». La donna, che oggi è seguita dagli psicologi, ha denunciato l'azienda chiedendo il risarcimento dei danni e le differenze retributive mai percepite. «Se il governo non saprà difendere le donne da questo genere di ricatti - conclude Grimaldi - dovrebbe smetterla di parlare di famiglia e di natalità».