IVREA - Il Ministero dell'Interno gli respinge l'istanza di concessione della cittadinanza italiana per un vecchio reato commesso, fa ricorso in tribunale e lo vince, ottenendo quanto richiesto. E' successo ad un cittadino di origini marocchine che ha vinto un ricorso al Tar presentato contro il decreto del 2019 con il quale il Ministero dell’Interno ha respinto la relativa istanza di concessione della cittadinanza italiana presentata nel settembre 2014. Il diniego è stato motivato da una notizia di reato diramata dal commissariato di Ivrea del giugno 2001, quindi tredici anni prima della richiesta, per omissione dei controlli imposti in materia di ingresso degli stranieri nel territorio nazionale e da un fotosegnalamento del settembre 2000 per mancata esibizione del permesso di soggiorno.
Queste circostanze sono state giudicate sufficienti al Ministero per fondare un giudizio di «non coincidenza» tra l’interesse dell'uomo a conseguire la cittadinanza e quello pubblico ad acquisire un nuovo elemento in seno alla comunità nazionale, nonostante gli anni passati e la «scarsa offensività dei due pregiudizi (entrambi mai sfociati in un procedimento penale e il secondo pure riconducibile alla categoria dell’illecito amministrativo) e, dall’altro, la mancata considerazione della propria complessiva situazione di inserimento sociale, economico e familiare».
Secondo i giudici il ricorso è fondato. Il Tar, infatti, ha condiviso le censure di difetto di istruttoria ed eccesso di potere formulate dal ricorrente con particolare riguardo alla data delle infrazioni e al fatto che, entrambi, non sono sfociati in un procedimento penale. «I due eventi sembrano essere propri della (iniziale) condizione dello straniero presente nel territorio nazionale senza permesso di soggiorno, tanto è vero che appaiono superati dal suo successivo conseguimento, avvenuto nell’anno 2003 - sottolineano i giudici - in questo caso è del tutto pacifico che il ricorrente sia incensurato e che le – risalenti – segnalazioni che lo hanno coinvolto erano connesse ad uno status diverso da quello raggiunto – a partire da 2003 – con il conseguimento del permesso di soggiorno».
In tal senso, quanto considerato dal Ministero per non concedere la cittadinanza risulta superato non solo dal conseguimento del permesso di soggiorno ma, soprattutto, dalla circostanza che «nel decennio successivo e fino alla data di presentazione della domanda di naturalizzazione (2014) e pure nel successivo intervallo temporale necessario per la definizione del procedimento (2019), il ricorrente ha effettivamente raggiunto uno stabile inserimento sociale, economico e familiare, mantenendo ininterrottamente uno stato di incensuratezza».
Con l'accoglimento del ricorso sarà quindi d'obbligo per il Ministero la rivalutazione della posizione del ricorrente, con una disamina puntuale del relativo inserimento sociale – e, quindi, della sua integrazione nella comunità nazionale - che tenga conto «concretamente della sua condotta di vita durante la permanenza sul territorio nazionale, dei suoi legami familiari e della condotta tenuta da costoro, della sua attività lavorativa nonché di tutti gli altri elementi ritenuti rilevanti che denotino l’adesione, o meno, ai valori fondamentali dell’ordinamento giuridico nazionale».