PONT CANAVESE - Si è aperto in tribunale a Ivrea il processo a carico di un 29enne residente a Pont Canavese. L’imputato deve rispondere di riciclaggio. Si tratta di reati commessi in concorso con una 57enne e una 47enne, già condannate rispettivamente a 3 anni e 4 mesi e a 2 anni di reclusione con rito abbreviato.
Secondo l’accusa, rappresentata dalla pm Valentina Bossi, i fatti contestati si sono svolti tra il 2011 e il 2019 e hanno coinvolto almeno cinque anziani, tutti ultrasettantenni e particolarmente facoltosi. Le vittime sarebbero state private di beni e denaro per un valore complessivo di oltre 2 milioni di euro. Tra queste, due uomini di Pont Canavese, parenti tra loro. Avrebbero perso circa un milione di euro tra contanti e proprietà immobiliari. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, i tre malviventi avvicinavano le vittime in luoghi come case di riposo, sale da ballo e bar, instaurando un rapporto di fiducia con la promessa di un’eredità inesistente da uno zio defunto in Calabria.
Gli anziani venivano indotti a versare somme ingenti per presunti costi legali e burocratici. Alla fine i malcapitati si trovavano con i loro conti bancari prosciugati. In alcuni casi, il gruppo faceva ricorso anche a minacce e vere e proprie sceneggiate. Una delle complici avrebbe persino simulato un tentativo di suicidio per costringere una vittima a cedere ulteriori somme di denaro.
Le indagini, avviate nel 2020 dai carabinieri di Agliè, sono scaturite dalla denuncia di un ex dirigente Olivetti, insospettito dalle continue richieste di denaro fatte al padre. Gli uomini dell'Arma hanno così scoperto una rete criminale che aveva già devastato le vite di diverse famiglie. I proventi delle truffe venivano utilizzati per finanziare uno stile di vita lussuoso, con viaggi, auto di prestigio e frequentazioni nei casinò. Durante le indagini sono stati sequestrati beni per un valore significativo, tra cui due immobili, tre autovetture e somme in contanti. Il 29enne, unico a scegliere il rito ordinario, è accusato di aver avuto un ruolo attivo nell’organizzazione. Tuttavia, il ragazzo nega ogni addebito. Le condanne già inflitte alle complici hanno riconosciuto la loro centralità nella vicenda: la 57enne è ritenuta la mente del gruppo, mentre la 47enne, operatrice sociosanitaria con precedenti, era responsabile del contatto diretto con le vittime.