ROMANO CANAVESE - La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dal cardinale Tarcisio Bertone contro l'assoluzione di quattro giornalisti: Vittorio Feltri, Aniello Trocchia, Emiliano Fittipaldi e Bruno Manfellotto. I giudici hanno confermato la sentenza di primo e secondo grado che ha assolto i giornalisti dall'accusa di diffamazione a mezzo stampa.
Era contestato a Trocchia e Fittipaldi di avere riportato nel pezzo giornalistico titolato "La Macchina dei dossier", pubblicato il 10/07/2014 sul settimanale "L'Espresso", dichiarazioni rese da Vittorio Feltri che attribuivano alla persona offesa il ruolo di fonte principale delle false notizie diffamatorie pubblicate-a partire dall'agosto 2009- su "Il giornale" ( all'epoca diretto da Vittorio Feltri) riguardanti Dino Boffo ( all'epoca direttore del quotidiano "Avvenire") e relative a presunti comportamenti molesti posti in essere da quest'ultimo; pubblicazione culminata nelle dimissioni dello stesso Dino Boffo dalla direzione del giornale.
A Bruno Manfellotto, nella qualità di direttore del periodico L'Espresso, era contestato di avere pubblicato, nella medesima data, la copertina del settimanale nella quale attraverso fotografie e segni grafici veniva attribuita al Cardinale Bertone il ruolo di fonte delle notizie diffamatorie pubblicate nei confronti di Dino Boffo, ed inoltre, in concorso con soggetto rimasto ignoto, di avere pubblicato un articolo dal titolo "Quanti guai ha Sua Eminenza" nel quale si affermava che il Cardinale Bertone risiedeva in un appartamento di 700 metri quadri, arredato con mobili di lusso, e di avere favorito la concessione di un prestito di 15 milioni di euro alla casa di produzione Lux Vide, a titolo di favore personale alla famiglia Bernabei.
A Vittorio Feltri era contestato di avere rilasciato, nel corso di un'intervista, dichiarazioni con le quali attribuiva al Cardinale Bertone il ruolo di fonte principale delle false notizie diffamatorie pubblicate, a partire dall'agosto 2009, sul quotidiano "Il Giornale" e riguardanti Dino Boffo (ex direttore del quotidiano "Avvenire").
La Corte di appello ha ritenuto, confermando il verdetto assolutorio di primo grado, che Trocchia e Fittipaldi si erano limitati a riportare fedelmente e tra virgolette le dichiarazioni rese da Feltri durante l'intervista; Feltri non aveva fatto altro che riportare quanto già dichiarato sotto giuramento (per quanto a sua conoscenza) dinanzi la Procura di Napoli sulla vicenda Boffo, ovvero conoscenze apprese da fonte ritenuta attendibile; la copertina del settimanale si era limitata a fornire, per sintesi, una rappresentazione grafica del contenuto dell'articolo mentre il box aveva riportato notizie già pubblicate non solo sullo stesso settimanale, ma anche sulla stampa nazionale ed internazionale.
Secondo la Corte di Cassazione il ricorso presentato dal cardinale Bertone tramite i suoi legali era inammissibile. «La sentenza impugnata si è mossa nel solco di un consolidato insegnamento di legittimità secondo cui, in tema di diffamazione a mezzo stampa, la manifestazione di espressioni oggettivamente offensive della reputazione altrui può trovare giustificazione nella sussistenza del diritto di cronaca. Requisiti caratterizzanti dell'esimente sono quelli dell'interesse sociale, della continenza del linguaggio e della verità del fatto narrato», scrivono i giudici della suprema corte. Requisiti che, secondo i giudici, sono presenti in questo caso. «Le doglianze articolate non riescono a scalfire la tenuta logica della motivazione della sentenza impugnata - aggiungono i giudici - collegata alla ricostruzione effettuata dai giudici di primo grado, in quanto connotata da solida affidabilità argomentativa dal punto di vista della ricostruzione fattuale e priva di vizi logico -giuridici». Bertone è stato condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di 3mila euro a favore della Cassa delle ammende.