CANAVESE - La relazione semestrale della Dia al Parlamento ha messo nero su bianco la situazione della criminalità organizzata in tutta Italia. Con un focus importante che riguarda alcune zone del nord, Piemonte compreso. Nella relazione degli investigatori non mancano gli accenni al Canavese dove, evidentemente, il fenomeno malavitoso è assolutamente presente. Non sono bastate le molteplici operazioni di carabinieri e polizia, con arresti e sequestri. Sono passati ormai più di dieci anni da quando l'inchiesta «Minotauro» ha scoperto le infiltrazioni della 'ndrangheta nel nostro territorio. Secondo la Direzione Investigativa Antimafia, da allora, non è cambiato granchè.
«Il territorio della Regione Piemonte e il suo tessuto economico-imprenditoriale risulta, come già in passato, particolarmente attrattivo per le organizzazioni mafiose, in particolare per la ‘ndrangheta - si legge nel rapporto - il contesto criminale è caratterizzato da un radicamento mafioso, a forte connotazione ‘ndranghetista, risalente storicamente ai fenomeni migratori interni degli anni '50 del secolo scorso. La ‘ndrangheta, tra le altre, è la matrice mafiosa che ha fatto registrare nel tempo uno sviluppo più funzionale e complesso delle proprie strutture criminali: caratterizzate da rigorosi criteri di ripartizione dei settori e delle zone di influenza, le prime cellule di ‘ndrangheta si sono evolute, nel corso degli anni, in veri e propri locali».
«Qui le mafie, e in particolare le cosche calabresi, hanno sempre cercato di instaurare rapporti di commistione con i rappresentanti delle istituzioni locali, delle professioni e dell’imprenditoria, creando quell’area grigia in cui l’esercizio del potere e il governo delle risorse del territorio è funzionale ad una logica di accrescimento non solo del capitale economico ma anche e soprattutto di quello “sociale”. Le inchieste giudiziarie recenti e l’azione preventiva svolta dalla Dia e dalle altre Forze di Polizia nel periodo di riferimento hanno documentato i tentativi di infiltrazione delle mafie, in particolare della ‘ndrangheta, nell’economia regionale soprattutto in quei settori economici in cui sono più ampie le opportunità di profitto».
Provincia di Torino
L’ampio territorio dell’area metropolitana di Torino e della provincia evidenzia un contesto delinquenziale particolarmente articolato e variegato, composto da sodalizi criminali autoctoni ed allogeni che coesistono. Tali sodalizi, tuttavia, appaiono ricoprire un ruolo di secondo piano rispetto a quello interpretato dalla ‘ndrangheta. Qui le consorterie criminali calabresi prediligono una strategia silente finalizzata all’infiltrazione del tessuto socio-economico e alla scalata dei gangli della cosa pubblica, non disdegnando, se necessario, il ricorso ad atti di violenza per il perseguimento dei propri disegni illeciti. Le attività investigative e le evidenze giudiziarie degli ultimi anni hanno censito l’operatività di diverse strutture ‘ndranghetiste.
Secondo la Dia risultano operativi in Canavese il locale di Cuorgnè, emanazione dei locali reggini di Grotteria (specificamente della famiglia BRUZZESE), di Mammola (i CALLÀ), di Gioiosa Jonica (con particolare riferimento al gruppo URSINO-SCALI) e di Condofuri (CASILE-RODÀ); il locale di Volpiano, originato dai BARBARO di Platì (RC) e da alcuni affiliati al cartello TRIMBOLI-MARANDO-AGRESTA di Platì (RC); il locale di San Giusto Canavese, fondato dagli SPAGNOLO-VARACALLI di Ciminà (RC) e Cirella di Platì (RC), con la partecipazione di elementi delle cosche URSINO-SCALI di Gioiosa Ionica (RC) e RASO-ALBANESE di San Giorgio Morgeto (RC); il locale di Chivasso, articolazione dei GIOFFRÈ-SANTAITI e dai SERRAINO di Reggio Calabria e Cardeto (RC), dai PESCEBELLOCCO di Rosarno (RC) e dai TASSONE di Cassari di Nordipace (VV); il locale di Ivrea, da ultimo emerso nell’ambito dell’inchiesta “Cagliostro” e riconducibile alla ‘ndrina ALVARO di Sinopoli (RC).