Per molti, negli Stati Uniti, ha già una freccia a proprio favore: l’odio reciproco con Donald Trump. Megan Rapinoe, calciatrice simbolo non solo del soccer made in USA, ma dell’intero movimento femminile calcistico mondiale, l’aveva detto: alla fine dei Mondiali di Australia-Nuova Zelanda mi ritiro. Peccato che l’addio abbia coinciso con l’eliminazione della Nazionale americana anche per via di un rigore che lei – con 200 presenze e 61 gol all’attivo (su 126 in carriera) – ha mandato sulle tribune. Tanto è bastato a Donald per commentare acidamente sui social la prestazione di Megan, con cui la guerra si è ufficialmente aperta nel 2022, quando Trump l’aveva invitata alla Casa Bianca e lei ha risposto seccamente di non avere alcuna intenzione di andarci.
Nulla che non fosse prevedibile, da una donna di 38 anni di vaghe origini italiane e irlandesi cresciuta in quella zona della California dove i lustrini si diradano per lasciare posto a campagne, animali e fattorie. Zone di gente tosta come la terra cotta dal sole, che non ha tempo per le smancerie di Hollywood e i trend di San Francisco.
Come capita spesso agli americani, Megan aveva scoperto il calcio negli anni dell’Università, iniziando da lì una scalata di squadre cambiate a volte dopo un solo campionato, fino ad arrivare all’OL Reign di Tacoma, stato di Washington. In mezzo l’esperienza di un anno in Australia con la maglia del Sydney FC e un altro in Francia, con l’Olympique Lione, dove conquista il Pallone d’oro come miglior giocatrice dell’anno. Premio che mette insieme a due Mondiali, un oro e un bronzo Olimpico e la Medaglia Presidenziale della Libertà, ricevuta dalle mani di Joe Biden, questa volta accogliendo l’invito della Casa Bianca.
Tutto questo è il calcio, passione prima e professione poi, tanto da mettersi in prima fila nel 2019, quando le calciatrici americane pretendono dalla Federcalcio statunitense pari trattamenti economici rispetto ai colleghi maschi. Alla fine, tra carte bollate, regolamenti e avvocati, la spuntano loro, e Megan commenta “È una meravigliosa pagina di storia”, certa di aver fatto un favore enorme a chi verrà dopo di lei.
Precedenti nella sua biografia ce n’erano, eccome: nel 2016 era stata la prima sportiva bianca a inginocchiarsi durante l’inno nazionale per dimostrare solidarietà al giocatore di football Colin Kaepernick, forma di protesta che era diventata virale contro le violenze perpetrate sui neri. Ancora prima, nel 2012, durante un’intervista non aveva esitato ad ammettere di essere lesbica, di più, un’accesa attivista per i diritti civili e quelli della comunità LGBQI+. Da allora, non c’è evento o manifestazione a cui abbia partecipato senza avere al fianco la compagna, l’ex cestista olimpionica Sue Bird.
Per la stampa americana, almeno una parte, Megan è una sorta di “Mohammad Alì donna”, un simbolo di lotta, di stile e di cultura che ha conquistato popolarità mostrando soltanto il proprio carattere, per nulla incline a chinare la testa di fronte al successo. Da qui, l’idea folle secondo cui il futuro di Megan Rapinoe potrebbe essere lontano dai campi di calcio e vicino agli scranni del Campidoglio. C’è chi la immagina già candidata, ovviamente in corsa per i Dem, e a chi le ha chiesto un parere Megan ha risposto “Sarebbe folle”, ma lasciando comunque uno spiraglio aperto: “Nel caso, punterei alla presidenza”.
Per adesso, le restano una manciata di partite di campionato, poi avrà tutto il tempo di pensare a un nuovo dribbling, questa volta direttamente sul prato immacolato della Casa Bianca. Perché no.