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Cos’è che accomuna il 71% della popolazione italiana? E che da solo rappresenta un business dal valore stimato in 1,8 miliardi di euro, con trend di crescita al rialzo?

No, non si tratta dello streaming e neanche di qualche nuovo social, ma del “food delivery”, la consegna direttamente a casa di piatti pronti. A svelare le cifre è “The European House-Ambrosetti”, durante il forum “La Roadmap del futuro del Food&Beverage”, un incontro per addetti ai lavori ospitato a Bormio.

La ricerca racconta come il delivery di cibi e bevande sia letteralmente esploso nei duri mesi casalinghi della pandemia, quando gli stessi ristoranti pur di sopravvivere alle serrande abbassate per ordine dei DPCM, avevano trovato una via d’uscita nella formula take-away e nella consegna a domicilio. Ma terminata l’emergenza, lo scettro è passato saldamente nelle mani dei colossi del delivery, che oggi detengono il 97% della fetta di mercato. Una fettina assai gustosa, visto che il trend è passato da un mercato che nel 2015, otto anni fa, metteva insieme a stento 70 milioni di euro, diventati 360 milioni nel 2018 e capaci di toccare quota 700 milioni nel 2020, appena due anni dopo.

Per chi ama qualche cenno di storia, il primo concetto di food delivery, per quanto rudimentale, risale al 1890, quando i “dabbawala”, antenati degli odierni “driver”, consegnavano cibo da asporto a Dubai, in India.

Dopo la seconda guerra mondiale, negli Stati Uniti esplode la mania del take away, soprattutto legata alla pizza, a cui ben presto qualcuno aggiunge il servizio dei leggendari “pizza boy” che recapitavano direttamente a casa le enormi pizze “pepperoni” di cui ancora oggi da quelle parti vanno pazzi.

In Italia la faccenda si fa più delicata: a vincere la nota diffidenza degli italiani verso acquisti che non hanno verificato di persona, temendo fregature e bidoni nascosti, è “Postal Market”, il celebre catalogo di vendite per corrispondenza che ha segnato più di una generazione. È una sorta di esperimento per il debutto delle prime pizzerie disposte tanto al take away quanto alle prime consegne a domicilio, anche se gestite alla meno peggio e in modo un po’ confusionario.

Il giro di boa ufficiale risale al 1994, quando in California apre il primissimo “Pizza Hut”, azienda che ha fatto scuola in tutto il mondo per la capacità di ottimizzare i tempi e gli ordini, per la prima volta possibili addirittura online.

Il resto, come si dice in questi casi, è storia.

Oggi, complice una rivoluzione copernicana delle abitudini, lo stile di vita è cambiato sdoganando più momenti snack lungo la giornata al posto dei canonici tre pasti principali. E non si tratta solo della voglia di togliersi uno sfizio, ma anche e soprattutto del piacere di stare bene e coccolarsi cercando relax e capricci di gola.

Statisticamente, la maggior parte degli italiani over 55 tende a ordinare piatti della nostra tradizione gastronomica regionale, mentre i più giovani spostano l’asse verso il cibo vegano e sono molto più attenti alle politiche antispreco delle aziende del delivery.

Per tutti, a fare da padrone sono i social: più della metà degli italiani segue abitualmente i profili di uno o più ristoranti sui addirittura quasi il 90% ammette di aver scelto spesso piatti e ristoranti in base alle foto visti nei feed.

Quasi inutile dirlo, a svettare fra gli ordini degli italiani continua a regnare incontrastata la pizza, seguita dall’hamburger, ambedue tallonati da sushi e poke. Ma guadagnano terreno i regimi alimentari più healthy come le insalate, e cresce linteresse sempre verso uno stile di vita plant-based, con un aumento dei piatti come la pita con seitan, i falafel e il wrap vegano.