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La Reggia di Venaria, ospita dal 29 marzo al 15 settembre nelle Sale delle Arti “Capodimonte da Reggia a Museo. Cinque secoli di capolavori da Masaccio a Andy Warhol”, una grande mostra con oltre 60 capolavori provenienti dalle collezioni artistiche di Capodimonte che annoverano grandi maestri, da Masaccio a Parmigianino, da Tiziano a Caravaggio, solo per citarne alcuni.

Un percorso espositivo alla scoperta di una collezione straordinaria, ma anche di una storia affascinante: quella di una Reggia divenuta un Museo che, nel corso dei secoli, ha preservato alcune tra le più raffinate raccolte d’arte di tutta Europa.

La mostra è resa possibile grazie all’intervento del Ministero della Cultura e realizzata dal Consorzio delle Residenze Reali Sabaude, in collaborazione con il Museo e Real Bosco di Capodimonte e i Musei Reali di Torino in virtù di un rapporto eccezionale tra prestigiosi enti culturali di valenza internazionale.

A ricordare gli stretti rapporti tra i Savoia e i Borbone, apre il percorso espositivo una sala dal titolo “Artisti ‘napoletani’ per la corte sabauda” con importanti prestiti dalle collezioni dei Musei Reali di Torino. Tre le opere quelle di Francesco Solimena, Sebastiano Conca, Corrado Giaquinto e Francesco De Mura rappresentano la grande stagione settecentesca, orchestrata dall’architetto Filippo Juvarra nella capitale del regno durante gli anni di Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III. Tra gli artisti contemporanei delle diverse scuole pittoriche, i maestri napoletani furono grandi protagonisti attivi per gli altari di corte e i cantieri delle Residenze Sabaude: dal Palazzo Reale di Torino al Castello di Rivoli fino alla Reggia di Venaria.

La mostra racconta una storia straordinaria che inizia con un giovane sovrano, Carlo di Borbone, alla conquista del trono del Regno di Napoli, appena due anni dopo essere entrato in possesso - nel 1732 - del Ducato di Parma e Piacenza, favorito dalla madre Elisabetta Farnese regina di Spagna.

La sezione dell’eredità materna che riguarda l’esposizione è la collezione d’arte dei Farnese, della quale Carlo, sin dall’inizio del 1734, anno cruciale per la campagna militare che lo avrebbe portato sul trono di Napoli, richiese un rapido inventario “di tutte le gioie, medaglie, tappezzerie, quadri, ed altri adorni e mobili i più preziosi, che siano in cotesta Real Guardaroba e nella Galleria”. La ricognizione patrimoniale era intrapresa in previsione del trasferimento delle opere a Napoli, capitale del nuovo Regno.

Il problema di una degna sistemazione della raccolta farnesiana nella città partenopea fu immediato: il Palazzo Reale era privo di una Galleria, pertanto sin dal 10 settembre 1738 veniva posta la prima pietra del Palazzo Reale di Capodimonte, da erigersi perché il giovane sovrano avesse, con la sua corte, un palazzo con un vasto bosco per le battute di caccia. Si può supporre che sin dalla fondazione la Reggia fosse stata concepita anche per accogliere le collezioni farnesiane: infatti dal 1739 era al lavoro una commissione incaricata di studiare la possibilità di sistemare l’intera raccolta in un’ala dell’edificio in costruzione “destinato per la collezione di quadri, libri, medaglie ed altre cose che vennero di Parma” individuando le camere verso il mare, più luminose, come le più adatte.

La disposizione e sistemazione delle opere si può parzialmente ricostruire attraverso le testimonianze dei viaggiatori del Grand Tour, con Johann Joachim Winckelmann (1758) e il canonico Sigismondo Manci (1760) si comprende che intorno al 1759 i dipinti erano stati sistemati negli ambienti luminosi volti a mezzogiorno, nell’unico blocco dell’edificio ultimato. La disposizione era per “medaglioni”: Raffaello e i toscani, Correggio, Parmigianino, Schedoni, Tiziano, i veneti, Annibale Carracci e i Bolognesi del Seicento.

Era sorto il primo museo napoletano con il Regolamento sancito solo nel 1785, che disciplinava gli orari di accesso del pubblico, dei copisti, le responsabilità dei custodi e dei consegnatari. Dopo meno di due secoli, nel 1957, nasce il Museo Nazionale di Capodimonte.

La mostra racconta l’evoluzione di questa storia, attraverso le dinastie regnanti e le opere dei nuclei collezionistici principali: farnesiano, borbonico e opere provenienti dalle chiese del territorio.

I FARNESE E IL COLLEZIONISMO

Le opere della collezione Farnese sono esposte ponendo l’attenzione sulla straordinaria ascesa al potere dei Farnese, in un continuo rincorrersi su e giù per la penisola, da Roma a Parma, a Piacenza a Bologna, a Napoli, in Francia, andata e ritorno: seguendo gli interessi di famiglia attraverso matrimoni, le campagne militari per il predominio sulla penisola; talvolta al fianco del Papa, spesso nelle fila dell’esercito imperiale.

In linea con il gusto del Rinascimento maturo, il collezionismo Farnese si snoda tra le residenze di Roma/Parma/Piacenza, inseguendo i maggiori artisti del momento e promuovendo l’attività di altri: da Tiziano ritrattista di corte, ai Parmigianino sequestrati agli aristocratici/ribelli parmensi, alla preziosa eredità dell’umanista Fulvio Orsini, agli acquisti di opere “antiquarie” come i Masolino e Bellini, al raffinato gusto per la glittica e l’oreficeria, all’apoteosi romana dei Carracci, protagonisti assoluti delle imprese decorative del palazzo di famiglia in Campo de’ Fiori.

Una selezione di dipinti e oggetti che disegnano il rapporto con i personaggi per cui furono realizzati e le vicende che avevano condotto alla realizzazione della raccolta di famiglia che, tra Cinquecento e Settecento, fu una delle più importanti d’Europa.

LA NAPOLI DEI BORBONE

Nel 1734, con l’avvento al trono di Carlo di Borbone, Napoli, dopo oltre due secoli, ridiventa capitale di un Regno: una Napoli cosmopolita, tra le città più importanti d’Europa nel secolo dei lumi, fino alla prima metà dell’Ottocento.

Alla stregua delle grandi famiglie rinascimentali e dei Papi più illustri, anche i Borbone vantavano una collezione invidiabile di antichitàarricchita ben presto dai ritrovamenti degli scavi dell’area Vesuviana, Pompei, Ercolano e Stabia avviati da pochi decenni. Una raccolta che tra antichità, dipinti e arti decorative inserisce Napoli tra le tappe obbligate del Grand tour.

L’insieme di tali vicende va considerato nel contesto più ampio della politica e degli interessi culturali dei Borbone al passo con i tempi per ampiezza di orizzonti e di articolazione.

Carlo aveva voluto creare a Napoli, poco importa se per vanità regale o vera lungimiranza, fabbriche e manifatture protette la cui produzione raggiunse ben presto livelli di qualità notevoli, dalle porcellane (1743), agli arazzi (1737), alla stamperia reale (1750), alla fabbrica di armi; il figlio Ferdinando, che salì al trono di Napoli quando Carlo andò a Madrid nel 1759 chiamato come re di Spagna, a sua volta riproporrà gusto ed ambizioni analoghe.

Proprio per la ricchezza e l’articolazione del patrimonio artistico accumulato comincia a farsi strada negli ultimi decenni del Settecento l’ipotesi di un museo generale in grado di raggruppare tutti i beni di proprietà reale, in linea con quanto la museografia illuminista veniva sviluppando all’epoca in Europa. Per questo scopo, il palazzo di Capodimonte ancora incompleto, non poteva essere preso in considerazione e si elaborò un progetto di risistemazione dell’antico Palazzo degli Studi fino ad allora sede dell’università, per ospitare le collezioni reali, Farnesiane ed ercolanesi, la biblioteca le accademie con esplicita finalità della fruizione pubblica, pur restando ancora la proprietà dei beni di esclusiva pertinenza Reggia.

Il palazzo di Capodimonte invece continuava ad andare avanti con lentezza tra mille ostacoli di natura tecnica ed economica, arricchendosi comunque nel corso della seconda metà del Settecento di ritratti ufficiali affidati ai pennelli celebri di Mengs, Angelika Kauffmann, di dipinti celebrativi di Panini e della folta schiera di vedutisti come Volaire. Entrarono nelle collezioni le prime opere di scuola meridionale tra cui Ribera e Luca Giordano. Alla fine del Settecento la galleria a Capodimonte risulta composta da circa 1.800 dipinti, una dimensione considerevole in rapporto le istituzioni coeve, finché nel 1799 le truppe francesi fecero irruzione in città. Il saccheggio è tremendo. Ferdinando di Borbone temendo il peggio aveva messo in salvo a Palermo l’anno prima 14 capolavori tra i più importanti della galleria.

In questi anni si chiude la stagione antica di Capodimonte come istituzione museale per diventare sempre di più reggia sia durante il regno dei napoleoni di – dal 1806 al 1815 – che durante la restaurazione borbonica ed il periodo post unitario.

Capodimonte diventerà museo statale nel 1957 accogliendo tutte le raccolte medievali e moderne dal Museo nazionale, l’ex Palazzo dei Regi Studi; le collezioni si erano arricchite notevolmente nel corso dell’Ottocento, con dipinti provenienti da chiese e conventi per le soppressioni degli ordini monastici, che avevano fatto confluire nel patrimonio regio opere soprattutto di scuola meridionale, come la straordinaria collezione del Quarto dei Priore della Certosa di San Martino: dipinti da camerino con soggetti sacri come la superba Sant’Agata di Francesco Guarino.

INGRESSI: intero 14€, ridotto 12, ragazzi 8. Reggia+Mostra 20€