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Il passaporto italiano è al terzo posto nella classifica dei più potenti al mondo. Un calcolo fatto dall’Henley Passport Index sulla base del numero di Paesi a cui è possibile accedere senza dover presentare un visto preventivo.

Con il primo posto di Singapore e il secondo del Giappone, l’Italia divide la terza posizione con Finlandia, Spagna, Francia, Germania e Corea del Sud, che hanno accesso a 192 Paesi senza necessità di richiedere alcun visto preventivo. All’ultimo posto l’Afghanistan, ai cui cittadini sono concesse solo 26 destinazioni senza bisogno del visto.

Quarto posto per sette Paesi che si fermano a 191 destinazioni senza visto (Austria, Danimarca, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia), seguiti al quinto da Belgio, Nuova Zelanda, Portogallo, Svizzera e Regno Unito, con libero accesso a 190 destinazioni. Al sesto Grecia e Australia con 189 paesi, mentre il settimo posto è un parimerito fra Canada, Polonia e Malta, che offrono la possibilità di viaggiare senza visto in 188 paesi.

All’ottavo posto Ungheria e Repubblica Ceca, con 187 destinazioni accessibili, seguiti al nono posto da Estonia e Stati Uniti, con passaporto che consente l’ingresso in 185 paesi. Infine, al decimo posto, Lituania, Lettonia, Slovenia ed Emirati Arabi Uniti, anch’essi con accesso senza visto a 185 destinazioni.

È curioso notare che gli Stati Uniti scendono al nono posto nell’indice dei passaporti più potenti al mondo e globalmente, i cittadini UE hanno una maggiore mobilità globale senza visto rispetto agli americani.

Secondo Annie Pforzheimer, senior associate presso il think tank di Washington Center for Strategic and International Studies, la discesa è da attribuire alla posizione ‘America First’. “Anche prima dell’avvento di una seconda presidenza Trump, le tendenze politiche americane erano diventate notevolmente introspettive e isolazioniste. Sebbene la salute economica degli Stati Uniti dipenda in larga misura da immigrazione, turismo e commercio, durante la campagna presidenziale del 2024 gli elettori sono stati alimentati da una narrazione secondo cui l’America può (e dovrebbe) stare da sola. In definitiva, se tariffe ed espulsioni sono gli strumenti politici predefiniti dell’amministrazione Trump, non solo gli Stati Uniti continueranno a scendere nell’indice di mobilità su base comparativa, ma probabilmente lo faranno anche in termini assoluti. Questa tendenza, insieme alla maggiore apertura della Cina, darà probabilmente origine a un maggiore dominio del soft power dell’Asia in tutto il mondo”.