Lungo un corridoio con accesso vietato al pubblico, al quarto piano dell’Università di Harvard, celebre e antichissimo ateneo statunitense privato di Cambridge, in Massachusetts, c’è chi ogni giorno si prende cura di una serie di flaconi, provette e barattolini messi insieme in tanti anni di ricerche in ogni angolo del mondo.
È il cuore della “Forbes Pigment Collection”, una vera e propria biblioteca che raccoglie e cataloga un patrimonio formato da 2.500 pigmenti tra i più rari del pianeta. La raccolta è intitolata al fondatore, lo storico dell’arte Edward Forbes che viaggiando in tutto il mondo tra il 1910 ed il 1944 ha raccolto tutti i colori in cui incappava, per riuscire a capire fino in fondo come nascevano le tinte delle opere rinascimentali.
Nel corso degli anni, il passaparola ha contribuito a far crescere la collezione con la donazione di pigmenti raccolti da appassionati d'arte ed esperti. La raccolta, ampliata di continuo, è oggi molto conosciuta e apprezzata nella comunità artistica mondiale. Per anni, i pigmenti hanno aiutato gli esperti d'arte ad autenticare i dipinti, e molti campioni sono stati inviati al J. Paul Getty Museum, alla Biblioteca del Congresso, all'Asian Art Museum di San Francisco e al National Research Laboratory for Conservation di Nuova Delhi, in India.
Un patrimonio di tinte, colori e sfumature estremamente utili nelle fasi di restauro di capolavori del passato, che raccontano anche storie legate al commercio, alle esplorazioni intorno al mondo e alle difficoltà affrontate dagli artisti ad ogni nuova opera.
La collezione, donata dallo stesso Forbes all’Università di Harvard, è oggi un prezioso strumento scientifico affidato a Narayan Khandekar, direttore dello Straus Center for Conservation and Technical Studies. È lui a identificare la composizione chimica e l’origine dei colori attraverso processi sofisticati come la spettroscopia Raman, la microscopia elettronica e la cromatografia.
Un compito niente affatto semplice che a volte richiede massima attenzione e uno stomaco allenato, necessario per affrontare colori come il “Mummy Brown”, particolare tinta ottenuta dalle resine ricavate damummie egizie, molto richiesta tra il XVIII e il XIX secolo. O ancora il Cocciniglia, un rosso brillante che si ottiene da insetti schiacciati. Per non parlare dei colori ad alta pericolosità come il Giallo di Cadmio, un giallo brillante, intenso e resistente che ha conquistato molti artisti del passato, ignari che le polveri fossero altamente velenose. E ancora il Verde Smeraldo, ad alto contenuto di arsenico e rilevato sul celebre ritratto di Paul Gauguin dipinto da Van Gogh, e il Rosso 254, un pigmento scoperto nel 1974 che permise di individuare un falso quadro attribuito Jackson Pollock.
L’ingrediente chiave di un altro costoso pigmento si trovava esclusivamente nelle profondità oceaniche: la secrezione della lumaca marina predatrice Bolinus brandaris forniva la base per una tonalità blu-rossa nota come “porpora di Tiro”. Il suo costo elevato la rendeva uno status symbol e gli imperatori bizantini proibivano a chiunque, al di fuori della corte imperiale, di usare il colorante viola, conferendogli la denominazione di “porpora reale”.
Uno dei pezzi forti della collezione è il campione di Vantablack, uno dei materiali artificiali in grado di assorbire la luce al punto da rendere difficile all’occhio umano percepire la superficie dell’oggetto con cui è dipinto.
“Ci sono così tante storie su questi pigmenti che potrei fare due o addirittura quattro visite guidate di seguito e non raccontare due volte la stessa storia – confida Alison Cariens, una delle coordinatrici della collezione - si impara molto scoprendo quanto gli artisti abbiano inseguito i colori nel corso della storia”.