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Ancora prima di iniziare, il 2024 ha già una certezza: sarà l’anno record delle consultazioni elettorali. Poco più della metà della popolazione mondiale, il 51%, sarà chiamata alle urne in 76 Paesi diversi, fra cui alcuni dei più popolosi al mondo come India, Stati Uniti, Bangladesh, Brasile, Messico, Pakistan, Indonesia e una ventina di Paesi africani, per un totale di 4 miliardi di persone al voto.

Anche se secondo un’analisi dell’Economist dei dati del “Democracy Index” in 43 Paesi difficilmente la tornata elettorale potrà cambiare qualcosa. Il riferimento principale è a regimi autoritari come quelli che scandiscono la vita in Bangladesh, Pakistan, Iran e Russia, dove i risultati appaiono già scontati e l’appuntamento alle urne è un proforma per accontentare la curiosità del resto del mondo e anzi, mostrare con la forza dei numeri quanto chi è al potere sia legittimato dal popolo.

I primi chiamati alle urne, il 13 gennaio prossimo, saranno gli elettori di Taiwan e la posta in gioco a livello globale è altissima, viste le pretese di sovranità di Pechino e il fermo no degli Stati Uniti.

Il 4 febbraio è la volta di El Salvador, dove il presidente uscente Nayib Bukele, primo al mondo ad adottare ufficialmente i bitcoin, ha ottenuto la possibilità di ricandidarsi nonostante un divieto costituzionale.

Pochi giorni dopo, il 25 febbraio, un altro passaggio delicato: le presidenziali in Bielorussia, dove la rielezione di Aleksandr Lukashenko è scontata.

Il 1° marzo si vota in Iran, ed anche in questo caso difficile aspettarsi un cambio di rotta, con la piena conferma di Ebrahim Raisi, malgrado le proteste contro il regime culminate con oltre 20mila arresti e almeno 500 morti.

Occhi puntati sulla Russia il 17 marzo per le presidenziali, non è in dubbio la rielezione di Vladimir Putin, lo “Zar” al potere dal 1999, che messi a tacere opposizioni, mezzi di comunicazioni e i possibili antagonisti, veleggia tranquillo grazie alla riforma costituzionale che gli consente altri due mandati di sei anni.

Fra aprile e maggio va alle urne l’India, in quello che è considerato un colossale esercizio di democrazia con 1,4 miliardi di persone chiamate alle urne per decidere se a guidare il Paese nei prossimi cinque anni sarà ancora il premier uscente Narendra Modi, forte di un ampio consenso popolare.

Epocale l’appuntamento del prossimo 2 giugno per i messicani: a sostituire il premier uscente Lopez Abrador sarà la vincitrice di una sfida che per la prima volta vede una di fronte all’altra due donne, Claudia Sheinbaum, ex sindaco di Città del Messico, e Xochtil Galvez, attivista per i diritti delle comunità indigene.

Fra il 6 ed il 9 giugno tocca a noi, intesi come Europa: il 27 paesi membri dell’UE sono chiamati alle urne per eleggere i 720 rappresentanti che entreranno nell’Europarlamento. In gioco il secondo mandato della presidente in carica, Ursula Von Der Leyen.

A chiudere l’anno in bellezza, si fa per dire, ci pensano le presidenziali americane del 5 novembre. Al momento, la sfida sembra restringersi ai soliti due candidati, entrambi poco graditi secondo i sondaggi: da una parte Joe Biden, considerato troppo vecchio per reggere altri 4 anni, dall’altra Donald Trump, valutato come troppo “sporco” per guadagnarsi un secondo mandato.