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Trent’anni fa esatti, il 20 gennaio del 1993, il mondo dava l’addio per sempre ad una delle attrici più amate e imitate di sempre: Audrey Hepburn. Se n’è andata nel sonno, nella sua residenza di Tolochenaz, in Svizzera, dove ha scelto di essere sepolta, lontana dal glamour rumoroso di Hollywood.

Trent’anni in cui l’immagine di Audrey ha continuato incessante a rimbalzare ovunque, resistendo a mode e tendenze come perfetta icona di uno stile, una grazia e un’eleganza innate, di quelle che nessun corso al mondo potrebbe mai insegnare. Un mito che ancora oggi si nutre di capi e look che fanno tendenza: dal long dress black di “Colazione da Tiffany”, diventato un classico intramontabile di eleganza, alle ballerina di “Cenerentola a Parigi”, per finire con la leggendaria frangia di “My fair lady”. Era un’eleganza che doveva molto all’incontro con Givenchy, couturier capace di interpretare in modo straordinario lo stile di un’attrice a cui da allora tenteranno di avvicinarsi in tante, ma senza successo.

Ad Audrey Kathleen Ruston era nata a Ixelles, in Belgio, nel 1929, il sangue nobile scorreva nelle vene: era figlia di seconde nozze della baronessa Ella Van Heemstra e del banchiere Joseph Victor Anthony Ruston. Una famiglia che Audrey si gode poco: i continui e furiosi litigi portano la coppia al divorzio. Audrey e sua madre riparano in Olanda, dove studia danza e vive sulla pelle le restrizioni della guerra, portandosi dietro per il resto della vita una gracilità con cui faticherà a convivere.

Terminati gli studi si traferisce a Londra, dove continua a studiare danza, ma le condizioni fisiche di estrema fragilità e l’altezza le precludono la carriera di étoile che sognava fin da piccola. Audrey decide di tentare la carta della recitazione, debuttando sul grande schermo nel 1948 con un documentario, a cui segue una gavetta teatrale come interprete di musical. La svolta arriva nel “Vacanze a Montecarlo” (1951), pellicola di enorme successo di critica e pubblico che le spalanca le porte di Hollywood. Lavora con i più grandi registi del tempo, Billy Wilder, George Cukor, Blake Edwards, recitando al fianco di star leggendarie come Gregory Peck, Humphery Bogart, Gary Cooper, Rex Harrison, Peter O’Toole e Sean Connery. Infinita la galleria dei titoli che uno dopo l’altro l’hanno resa un vero mito, a cominciare da “Vacanze Romane”, che le vale l’Oscar, passando per “Sabrina”, “Guerra e Pace” e “Sciarada”.

Al contrario di Marylin, che negli stessi anni trasuda sensualità ad ogni passo, Audrey incarna una bellezza femminile pulita, schietta, sofisticata a sbarazzina insieme, fragile all’apparenza e forte nel desiderio di vivere i propri sogni.

Impegnatissima sul set, arriva alla soglia dei 40 anni diradando lentamente le proprie apparizioni. L’ultimo ruolo importante è in “…e tutti risero”, nel 1981, accanto a Ben Gazzara, mentre l’ultima pellicola in cui compare è un piccolo cameo in “Always, per sempre” volito da Steven Spielberg, che le affida il ruolo di un angelo.

È una dei 17 artisti a poter vantare l’EGOT, acronimo di Emmy, Grammy, Oscar e Tony, i premi vinti in carriera, conquistando il terzo posto nella classifica delle più grandi star della storia del cinema.

Nel 1988 l’Unicef la vuole come ambasciatrice ufficiale, ruolo che Audrey interpreterà al meglio spendendosi attivamente sul campo umanitario per dare sostegni concreti ai bambini africani.

Si sposa due volte, la prima con il collega Mel Ferrer, la seconda con il medico italiano Andrea Dotti, avendo da entrambi un figlio: Sean e Luca. Muore a 63 anni, accanto al suo compagno Robert Wolser, un attore olandese più giovane di lei di sette anni.