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Tra due sigle che è meglio imparare a memoria - IA e 3D - ci stiamo giocando il futuro. La prima, l’Intelligenza Artificiale, saprà presto prevedere terremoti, maremoti e valanghe, mentre la stampa in 3D promette che un giorno potremo inviare le lasagne ancora clade di forno alla nonna bloccata a casa dalla sciatica.

Nell’attesa che tutto diventi possibile, ci si può accontentare della stampante 3D polimerica più grande al mondo, come certificato dal Guinness World Record, realizzata da una squadra dell’ASS (Advanced Structures and Composites Center), dipartimento dell’Università del Maine, guidato dal professor Habib Dagher e finanziato dalla Maine Housing Authority e dal Maine Technology Institute.

Ma attenzione, perché la stampantina non è un progetto buttato lì, tanto per entrare nel grande libro dei record, ma è stata ideata, progettata e realizzata con uno scopo ben preciso: combattere la penuria immobiliare e la crisi abitativa.

Secondo i dati della “National Low Income Housing Coalition”, nei soli Stati Uniti “Sarebbero necessari oltre 7 milioni di alloggi a prezzi accessibili. Nel solo Maine, il deficit è di 20.000 unità abitative e quasi il 60% degli affittuari a basso reddito spende più della metà del proprio reddito in alloggi”.

Grazie alla stampante, all’interno del campus universitario sono sorte le prime “BioHome3D”, unità abitative di 56 metri quadri stampate in 3D utilizzando segatura e bioresina, con strati sovrapposti uno sull’altro. Il risultato, visibile nelle foto che accompagnano il servizio, è un appartamento unifamiliare con tanto di cucina, soggiorno, zona pranzo, zona notte, spazio di lavoro e un bagno piastrellato, mentre una combinazione di fibra di legno e cellulosa garantisce l’isolamento. L’appartamento, realizzato ispirandosi al design asciutto tipico dei paesi nordici, in cui spicca il calore del legno, risponde ai requisiti strutturali previsti dalla legge, sia antincendio che tossici, e i primi esemplari sono cosparsi di sensori che negli anni a venire misureranno il grado di usura e l’eventuale perdita di coibentazione.

Oltre all’economicità del progetto, le BioHome3D sono totalmente riciclabili e soprattutto possono essere assemblate ovunque si desideri in meno di 48 ore. Anche se i tempi, chiariscono gli scienziati, dipendono molto da possibili malfunzionamenti della stampante.

Visto l’interesse suscitato dalle prime case in 3D, l’Università del Mainae è partita con un altro progetto, ancor più esaltante: realizzare un intero quartiere entro il prossimo anno. Ma prima di individuare la zona e metterlo in piedi, letteralmente dalla mattina alla sera, il team è al lavoro per capire come inglobare nella stampa il cablaggio elettrico e quello idraulico.

“In passato sono state sviluppate diverse tecnologie per la stampa 3D di abitazioni ma, diversamente da BioHome3D, molte utilizzavano il calcestruzzo. Oltretutto, in genere si limitano a stampare in 3D i muri, posti sopra fondazioni realizzate con tecniche convenzionali, e utilizzando normali travi in legno per le coperture – conclude il professor Dagher - diversamente dalle tecnologie esistenti, tutta BioHome3D è stata stampata in 3D, compresi pavimenti, pareti e tetto. I biomateriali utilizzati sono riciclabili al 100% in modo che un giorno, i nostri nipoti potranno riciclarla completamente”.