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A volte, quando la sedia è un po’ alta, fatica a salirci. Ma in fondo ha solo 8 anni, pochi per pensare a lei come una campionessa e in realtà sufficienti per essere considerata una promessa. Di più: secondo gli esperti, siamo al cospetto dei primi passi di una delle giocatrici di scacchi potenzialmente più forti di sempre.

È la storia ancora breve di Bodhana Sivanandan, piccola inglese di origini indiane che al mattino frequenta la terza elementare in una scuola di Harrow, un sobborgo a nord di Londra, e finiti i compiti come pretendono mamma e papà, si affida alle cure di Jon Speelman, il suo allenatore, ex finalista mondiale che ha creduto in lei almeno quanto il “John Robinson Youth Chess Trust”, un club londinese che si è offerto di pagare le spese di viaggio per permettere a Bodhana di partecipare ai vari tornei in giro per il mondo. E per ripagarli di tanta fiducia, Bodhana continua a vincere, ovunque vada.

Pochi giorni fa si è aggiudicata il campionato europeo a Zagabria portandosi a casa il titolo femminile e quello juniores, per poi presentarsi al cospetto della rumena Irina Bulmaga, Master due volte campionessa di Romania, dopo aver mandato a casa 554 sfidanti che speravano nel titolo continentale.

Un esordio che ricorda – e soprattutto migliora – quello di Judit Polgar, giovane ungherese che nel 1996, a soli 9 anni, aveva stravinto un torneo a New York scalando poi le classifiche mondiali fino a entrare nel ristretto elenco degli imbattibili. Esattamente come potenzialmente può fare Bodhana.

E dire che fino alla pandemia, Bodhana gli scacchi neanche sapeva cosa fossero, ma evidentemente erano nel suo destino, come ha iniziato a dimostrare a 7 anni, meno di 12 mesi fa, polverizzando ogni record con 33 vittorie consecutive e il primo posto in un torneo nazionale femminile inglese.

Ma il resto degli inglesi si è accorto di lei da poco, quando le televisione ha iniziato a parlare di una bambina di 8 anni che avrebbe incontrato Peter Lee, leggenda degli scacchi oggi ottantenne che più volte ha difeso e portato alla gloria i colori britannici nei campionati del mondo. Due leggende, solo che una è ancora tutta da scrivere.