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C’è una lunga storia d’amore (e denaro) che unisce i campioni del pallone alla pubblicità. Idealmente si potrebbe iniziare da Dino Zoff, che nel 1983 – ad un anno esatto dall’epica vittoria dell’Italia al Mondiale di Spagna – diventava testimonial dell’olio “Cuore”. Qualche anno dopo, nel 1990, Franco Baresi presta il proprio volto al lancio di “Gatorade”, seguito più o meno negli stessi anni da Roberto Baggio, testimonial della “IP”, sponsor della Nazionale italiana in procinto di volare negli States per i Mondiali del 1994, peraltro finiti malissimo. Anche se uno dei rapporti più celebri e longevi è quello fra Alex Del Piero e l’acqua “Uliveto”, con il celebre passerotto diventato epicentro di tante ironie.

Ma è attraverso una recentissima ricerca, la prima mai realizzata in Europa sull’argomento, che è venuta fuori una verità a tratti inquietante: il pubblico tende a farsi influenzare dalle pubblicità che hanno come testimonial partite e calciatori.

Lo studio, intitolato “Beyond Visual Attention”, è stato realizzato mescolando machine learning, intelligenza artificiale e neuroscienze con l’obiettivo di capire i meccanismi in grado di stimolare l’attenzione durante le partite. Prendendo come campione 4.000 italiani di maggiore età, la “Annalect”, divisione di intelligence e data analytics di “Omnicom Media Group”, ha messo nero su bianco la verità: il 35% dei soggetti intervistati ha ammesso che i prodotti con testimonial campioni di calcio diventano più appetibili, mentre il 34% capisce di prestare più attenzione alle pubblicità trasmesse durante le partite.

In effetti, dicono la scienza e il marketing, l’attenzione visiva durante un evento sportivo appassionante (o l’incontro della propria squadra del cuore), si sposta in automatico anche verso i messaggi pubblicitari che di tanto in tanto compaiono sullo schermo. Rispettivamente, il 69% presta molta attenzione alle fasi dell’incontro ma il 57% è talmente preso da non riuscire a perdersi neanche i continui spot. Viceversa, se la partita è noiosa, l’attenzione verso quel che succede in campo scende leggermente (62%), ma in compenso quella verso le pubblicità cala al 32%. La prova del nove dell’esperimento? La stragrande maggioranza degli intervistati, dopo aver assistito alla registrazione di un incontro, era in grado di ricordare almeno una pubblicità su cinque di quelle trasmesse in sovrimpressione.

Ribaltando la questione a livello generazionale, il 72% dei “boomers” è più attento a tutto ciò che passa sullo schermo rispetto al 67% dei giovanissimi della Gen Z, decisamente più pronti a cambiare canale o spostare l’attenzione su sistemi come il double screen.

E non finisce qui, perché per molti il calcio è una passione così coinvolgente da non chiudersi con il triplice fischio dell’arbitro: il 57% cerca informazioni sui social, il 31% aggiorna la propria squadra di Fantacalcio e il 18% continua a guardare e sognare calcio attraverso i videogames.