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Una pizza con gli amici: uno dei classici del weekend, un modo per stare insieme a tavola senza immolare una fortuna. Bene, questa, almeno secondo un’indagine realizzata dal “CRC” (Centro di formazione e ricerca sui consumi), è una teoria che non vale più. Attraverso i dati Istat diffusi dal Mimit, (Ministero delle Imprese e del Made in Italy), la ricerca è giunta alla conclusione che la popolarissima pizza ha perso per strada il titolo di piatto più democratico e popolare che ci sia.

Calcoli alla mano, nel giro di 6 anni, il costo della pizza è lievitato (in tutti i sensi), del 20%, rendendo ormai difficile trovarne una a meno di 12 euro. Quanto basta per far strofinare le mani alle circa 127mila pizzerie italiane, che muovono un business pari a 25 miliardi di euro all’anno grazie a quella che è una vera passione per gli italiani, capaci ogni anno di consumarne mediamente quasi 8 kg a testa.

E questo parlando solo dell’Italia, perché a livello globale il giro d’affari della pizza nel mondo è stimato in 160 miliardi di dollari annui, con una crescita media del 6%. Solo gli statunitensi, ogni anno sono capaci di consumarne più di tre miliardi, mentre in Brasile la pizza è ormai considerata al pari del “churrasco”, uno dei piatti nazionali.

Tornando all’Italia, secondo i dati del CRC, su 59 province italiane monitorate, ben 7 superano il costo medio di 14 euro, comprensivo di pizza e bevanda. Con l’eccezione di Reggio Emilia, dove la spesa si attesta intorno ai 18 euro, seguita Siena con 17 e Macerata con 16.

Non va meglio da altre parti d’Italia: mettendo da parte Napoli – la capitale della pizza, che sfrutta il momento d’oro del turismo facendo lievitare i prezzi – le città dove la spesa media resta al di sotto dei 10 euro sono pochissime: Livorno (8,75 euro), Reggio Calabria (9,15), Pescara (9,37) e Catanzaro (9,96). Nel resto della Penisola, la spesa media si aggira su 12,14 euro a persona, che come accennato significa spendere il 18,3% in più rispetto a soli sei anni fa.

“Alla base dei rincari che hanno colpito uno dei prodotti alimentari più apprezzati nel mondo, ci sono una serie di fattori – spiega Furio Truzzi, presidente del comitato scientifico del CRC - prima la pandemia Covid, poi il caro-energia, hanno determinato una crescita dei costi in capo alle pizzerie che sono stati scaricati sui consumatori finali attraverso un incremento dei prezzi al dettaglio. In un secondo tempo, la guerra in Ucraina con la crisi di alcune materie prime, a partire da farina e olio utilizzati per la preparazione, hanno causato ulteriori rialzi dei listini che non sono rientrati al termine dell'emergenza. E questo perché la pizza è un alimento talmente amato dagli italiani da essere diventato un bene a domanda rigida: il suo consumo cioè non cambia al variare del prezzo, a tutto vantaggio dei pubblici esercizi”.

La conseguenza del rialzo dei prezzi ha finito per alimentare il trend della pizza fatta in casa, anche se ancora superata da chi preferisce mangiarla in pizzeria (42%) e chi sceglie l’asporto (29%). Ma soprattutto, gli italiani continuano a preferire le pizze tradizionali alle proposte “gourmet” e le pizze griffate dai grandi chef: a svettare è sempre l’inaffondabile margherita, con il 45% delle preferenze.