Tralasciando i motivi scatenanti – assai personali - secondo la scienza piangere è un vero toccasana naturale: considerata una complicata risposta del corpo alle emozioni, la secrezione delle ghiandole lacrimali è in grado di riequilibrare l’umore e il fisico. Certo, il pianto può essere disperato, irrefrenabile, plateale, rassegnato, di dolore, rabbia o felicità, ma in qualsiasi caso favorisce il rilascio di endorfine e ossitocina, i celebri “ormoni del benessere”, con la conseguenza di abbassare il livello di stress e contribuire perfino a regolare le funzioni cardiache.
Da punto di vista mentale, piangere ha ripercussioni sulla salute mentale, e contrariamente a quanto si pensa ha un effetto lenitivo e rilassante sulla mente: non è raro, dopo un lungo pianto, avvertire una diffusa sensazione di calma e benessere.
Al contrario, sforzarsi di non piangere può aumentare il rischio di infarti e di danni al cervello, lo dimostra la tendenza tipicamente maschile di evitare il pianto – erroneamente considerato un segno di debolezza - rispetto alle donne, con conseguente aumento dei casi di infarto e disturbi cardiovascolari. Secondo diverse ricerche, ogni anno una donna piange in media 47 volte, a fronte delle 7 di un uomo.
Ma piangere, quando proprio non si riescono a fermare le lacrime, è tipicamente qualcosa da fare in privato, lontano dagli sguardi altrui. Almeno era così fino ad oggi, scoprendo che in Giappone e negli Stati Uniti si moltiplicano i “Crying Club”, locali dove chi sente il bisogno di farlo, può tranquillamente piangere in mezzo ad altri sconosciuti afflitti da altrettanta tristezza. Nessuno sarà incuriosito e soprattutto nessuno cercherà il modo di consolare il malcapitato/a, perché tutti sanno che quando le lacrime finiscono di opprimere ci si sentirà molto meglio di prima.
Uno dei locali più celebri è un “Negative Cafe and Bar Mori Ouchi” di Tokyo, che fin all’ingresso specifica che l’ammissione è riservata a “negative people only”. All’interno, delle discrete cabine in legno che ricordano quelle dei telefoni pubblici di una volta permettono di sfogarsi in piena privacy, ma è anche possibile richiedere l’aiuto di un “crying therapist” pronto a guidare i clienti verso un sano e liberatorio pianto.
Non è il primo locale: anni fa, il “Mitsui Garden Hotel Yotsuya”, sempre a Tokyo, metteva a disposizione della propria clientela delle “crying rooms”, stanze attrezzare di fazzoletti, salviette e struccanti in cui rinchiudersi per il tempo necessario a dare sfogo alle proprie emozioni. Ma non basta ancora, perché nelle grandi aziende giapponesi non sono rare le “rage rooms”, letteralmente le stanze della rabbia, in cui sfogarsi facendo a pezzi il mobilio.