Aprile, il mese appena terminato, è stato un esempio lampante: nel giro di un mese appena, sono passati in rassegna i climi e le temperature tipiche di tutte le quattro stagioni, dal freddo intenso al caldo torrido, con in mezzo le temperature primaverili e l’umidità tipica dell’autunno.
Una fonte di stati influenzali improvvisi e cambi degli armadi troppo veloci, ma per gli esperti soprattutto una prova lampante di quanto i cambiamenti climatici siano ormai entrati nella quotidianità. Sensazioni che possono anche provocare disagi profondi, definiti “ecoansia”, un malessere nuovo di zecca che la scienza medica non aveva mai pensato di dover considerare.
Secondo l’autorevole “Treccani”, si tratta della “Profonda sensazione di disagio e di paura che si prova al pensiero ricorrente di possibili disastri legati al riscaldamento globale e ai suoi effetti ambientali. In ambito psicologico, da qualche anno a questa parte si è iniziato a parlare di ‘ecoansia’ per riferirsi a forme sub-cliniche di inquietudine, senso di colpa e depressione suscitate dalle criticità ambientali”.
Uno stato di malessere diffuso e non meglio accertato che colpisce soprattutto le giovani generazioni, come in fondo dimostra la nascita di movimenti spontanei come “Friday for Future”, nato dall’esempio della giovane attivista climatica svedese Greta Thunberg.
Un concetto dimostrato, nel 2021, da uno dei più completi studi mai realizzati per comparare la salute mentale con gli effetti del clima, da cui è emerso che l’ecoansia colpiva i 10mila giovani coinvolti nell’esperimento, con maggiore intensità quelli di età compresa tra 16 e 25 anni, provocando stati improvvisi di tristezza, depressione e pensieri negativi. Il motivo, secondo gli autori del test, sta nella sensazione dei più giovani di subire sulla propria pelle le scelte scellerate delle generazioni precedenti, poco attente all’ambiente soprattutto nel nome del denaro. Ad accrescere il disagio, l’amara sensazione di poter fare ormai molto poco per raddrizzare la situazione.
Un altro esperimento impattante sugli effetti dell’ecoansia è quello che ha coinvolto un gruppo di ricercatori che il 2015 e il 2022 hanno passato al setaccio più di otto miliardi di post su Twitter scritti da persone che condividevano pubblicamente anche la propria geolocalizzazione. Partendo da parole chiave positive e negative, gli studiosi hanno collegato i post alla situazione climatica del momento in cui erano stati scritti. Per cui, durante le feroci ondate di caldo estive o le piogge estreme i tweet con dal contenuto negativo salivano a dismisura rispetto agli altri. Viceversa, nei giorni di clima “normale”, i toni dei post rientravano nella sfera dell’ordinario.
Un problema sempre più diffuso ma non ancora compreso o valutato a fondo. Lo scorso gennaio, uno scienziato intervistato in forma anonima dal quotidiano spagnolo “El Pays”, aveva ammesso: “Nel mondo scientifico la questione dell’ecoansia non viene discussa apertamente, anche se è chiaro che ogni aumento di un decimo di grado significa che milioni di persone soffriranno e le specie si estingueranno”.
Ma l’ecoansia, sempre secondo gli esperti, può anche avere un risvolto positivo: far scattare uno stato di allerta che porta all’azione, sposando gli atteggiamenti virtuosi del voler fare “la propria parte”, fosse anche solo portarsi le borse della spesa da casa per evitare di metterne in circolo altre, o ancora scegliere di camminare o usare la bici invece dell’auto.