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Chissà che faccia avrebbe Elvis, o secondo i complottisti che faccia ha ancora oggi, nell’anonimato in cui si è chiuso dal 1977, anno in cui secondo una delle tante teorie che popolano il rock, avrebbe solo finto di passare a miglior vita.

Ne sono convinti i bookmaker inglesi, che quotano fino a 5.000 la sua possibile ricomparsa, forti di prove che dimostrano senza ombra di dubbio che “Elvis is in the building”, o per lo meno c’è stato più di quanto lasci pensare ciò c’è scritto sulla tomba. Una quotazione che nel 2016 si era fermata a quota 2.000, al pari dell’altrettanto improbabile arrivo di Kim Kardashian alla Casa Bianca.

In qualsiasi caso, l’8 gennaio 2025 Elvis Aaron Presley avrebbe compito 90 anni, a patto che il destino gli avesse concesso di arrivare così avanti, ed è onestamente difficile provare a immaginarlo oggi, con i capelli bianchi, coperto di rughe e accennando come ospite in un programma tivù uno dei suoi celebri movimenti d’anca che allora turbavano le adolescenti e inorridivano in benpensanti. Roba che di questi tempi fa sorridere, a malapena.

Ma se fosse ancora qui, o tornasse per dire la sua svelando una delle più grandi truffe del rock’n’roll, cosa avrebbe da dire sull’autotune, sul rap, sugli artisti che anche senza voce e intonazione diventano cantanti che scalano le classifiche? Sarebbe curioso saperlo proprio da lui, “The King”, il signore assoluto della voce, circondato da gente che l’ha masticato fino all’osso lasciando che il countdown dell’autodistruzione andasse avanti imperterrito fino a quel 16 agosto, quando a 42 anni appena viene ritrovato sul pavimento del bagno della sua casa di Memphis, quella che ancora oggi è il santuario pagano di “Graceland”, l’abitazione più visitata d’America dopo la White House, al numero 3717 di un lungo boulevard dove il mondo di Elvis è sviscerato, sminuzzato e mostrato per intero, al costo di 140 dollari a persona, senza contare il business dei souvenir, degli hot dog e delle foto ricordo.

Ma Elvis resta un mito, il primo, quello che non aveva ancora meccanismi dell’industria discografica a cui aggrapparsi e faceva tutto da solo, pensando di avere intorno gente che pensava a lui e non al conto corrente. Quando se n’è andato, nel 1977, per tanti la sua stella era al tramonto: grasso e gonfio, faticava a salire sul paco arrivando alla fine del concerto. È la morte, come sempre, ad averlo salvato trasformandolo in una vera macchina da soldi, molti di più di quanto ne facesse da vivo alla fine degli anni Settanta. Lo stesso meccanismo di santità toccato a Michael Jackson, rimasto nell’empireo dei più grandi dando un colpo di spugna ai peccati commessi in terra.

Alla fine è proprio la musica, oltre alla sua residenza trasformata in Disneyland per ottuagenari, la vera eredità di Elvis. Di ciò che ha lasciato resta poco, compresa la sua famiglia, colpita da drammi e tragedie a raffica: prima il nipote Benjiamin, suicida con un colpo alla tempia, poi la sua unica a amata figlia Lisa Marie, uccisa da un’occlusione intestinale e oggi sepolta anche lei nel “giardino della meditazione”, quell’angolo del parco di Graceland, subito dopo la piscina, dove ci sono tutti, uno accanto all’altro, per sempre.