Signori, ci siamo. Si avvicina al momento in cui il mondo della medicina darà l’addio definitivo agli aghi, spesso uno dei fastidi più sentiti da chi deve sottoporsi ad esami, prelievi e iniezioni periodiche, debellando per sempre la “belonefobia”, la paura degli aghi, assai diffusa.
La novità si chiama “FlowBeams” ed è il progetto a cui ha lavorato per anni una start-up di Enschede, nei Paesi Bassi, presentato poche settimane fa nel corso del CES di Las Vegas, la fiera delle novità tecnologiche che ogni anno mostra al mondo la strada verso cui siamo diretti.
Un’idea che ha immediatamente attirato l’attenzione della comunità medico-scientifica internazionale, perché al posto del tradizionale ago utilizza un raggio laser che riscalda localmente il liquido creando una microbolla. Tecnicamente, il processo genera una pressione controllata che permette al farmaco di penetrare attraverso la cute in modo preciso e soprattutto indolore. La particolarità del sistema - ha spiegato Jelle Schoppink, responsabile tecnologica di FlowBeams - risiede nella sua capacità di frazionare il dosaggio in multiple micro-somministrazioni, garantendo un controllo estremamente accurato del volume totale del farmaco introdotto nell'organismo. Questo approccio non solo aumenta la precisione della somministrazione, ma riduce anche significativamente il disagio per il paziente”.
Va da sé che la portata del progetto ha un valore universale, perché oltre a rendere l’iniezione un intervento che avrà più alcun bisogno di personale specializzato, potrebbe cambiare per sempre anche procedure come le campagne di vaccinazione e la somministrazione di insulina nei pazienti diabetici. E questo senza contare la notevole riduzione di materiali medicali da smaltire e il calo dei rischi di lesioni accidentali del personale sanitario.
Ma l’entusiasmo con cui è stato accolto FlowBeams – premiato a Las Ves con il “CES Innovation Awards” - non toglie che prima di pensare ad un’adozione su larga scala ci siano ancora diversi ostacoli da superare. Primo fra tutti i costi, che potrebbero essere abbattuti con una produzione su larga scala, ma che almeno inizialmente potrebbero richiedere investimenti corposi da parte delle aziende sanitarie pubbliche e private. E non da ultima le approvazioni normative necessarie per un uso clinico.