Primo, il sushi in Giappone non è il cibo di tutti giorni, ma quello della festa. Secondo, tutte le varianti con creme spalmabili e frutti esotici, da quelle parti non sanno neanche cosa siano: il sushi è pesce crudo, alghe, wasabi e riso cotto nell’aceto. Punto e basta.
Ma come è successo per la pasta e la pizza, viaggiando intorno al mondo anche la celebre specialità giapponese ha finito per addomesticarsi ai gusti del posto, creando infinite varanti. Ma c’è di peggio: secondo una ricerca, il 55% di quello che viene venduto ogni giorno nel nostro Paese è “taroccato”. Nel senso che non corrisponde agli standard di qualità previsti in Giappone per il pesce crudo, ottimo ma pericolosissimo. All’inizio della sua storia, circa 2000 anni fa, quando i frigoriferi e i freezer non esistevano ancora, il pesce veniva raccolto e conservato nel riso fermentato.
Per questo, è nato a Venezia un ente che avrà il compito di certificare il sushi prodotto in Italia, garantendo originalità, tradizione e qualità di un piatto che gli italiani amano sempre di più. La “UESE Italia Spa”, società specializzata nei servizi internazionali, ha ricevuto l’incarico di verificare il sushi made in Italy, secondo la norma Uni Cei En Iso/Iec 17024:2012, che prevede la valutazione delle conformità e i requisiti generali per le certificazioni e la creazione di uno schema di mantenimento delle stesse.
Entro quest’anno, l’azienda veneta dovrà definire le regole e i requisiti per il settore e certificare i processi per permettere agli appassionati di riconoscere facilmente il sushi autentico da quello tarocco, figlio di furberie e contraffazioni a volte spregiudicate e pericolose.
La battaglia ha un obiettivo preciso, in continua ascesa: il “pesce sintetico”, creato in laboratorio attraverso le cellule staminali in provetta. Un prodotto che, secondo le stime più recenti, sta avendo un forte impulso soprattutto all’estero, Stati Uniti e Germania in pole position, ma al momento non ancora in Italia, dove il pesce tradizionalmente viene venduto intero nelle pescherie e in mercati e supermercati, rendendo più difficile spacciare per pesce qualcosa che il mare non l’ha mai visto.
Spacciato come una novità che rispetta l’ambiente, il pesce sintetico in realtà non salverebbe alcun animale, al pari della carne, perché realizzate entrambi sfruttando i feti animali al netto di un maggior consumo di acqua ed energia. E al momento senza seconda alcuna garanzia sui processi chimici utilizzati. Ma in compenso, un processo dagli enormi interessi commerciali e speculativi che muove miliardi.
Secondo Coldiretti, che sulla questione ha acceso i riflettori, gli italiani per loro fortuna sono assai guardinghi quando si parla di cibo: sui cibi sintetici il 60% nutre dubbi per la salute, il 42% non riconosce il sapore e il 18% non è affatto convinto che la novità significhi fare un favore alla natura.