Da anni Osama Qashoo, regista e attivista londinese di origini palestinesi, si sforza di dare aiuti concreti a quella che considera la sua gente. Nato a Nablus, in Cisgiordania, vent’anni fa è stato costretto a lasciare la sua terra d’origine dopo essere stato rinchiuso in galera subendo torture d’ogni genere.
Due anni fa, Qashoo ha un’idea: creare la “Gaza Cola”, una bevanda che - quando scoppia il conflitto fra Israele e la Palestina - diventa un simbolo di resilienza e solidarietà.
Nulla di politico, precisa in fondatore, si tratta del tentativo di tentare di salvare vite umane, ma perché l’operazione diventi credibile agli occhi del mondo, Osama capisce che è necessario un passaggio: tutto, della Gaza Cola, dev’essere palestinese, dagli ingredienti al confezionamento, per evitare ogni possibile sospetto di coinvolgimento delle multinazionali.
Certo, per la Gaza Cola competere con i grandi marchi del beverage è impossibile, ma l’intento non è quello, e con la distruzione sistematica della Palestina, Qashoo sceglie di concentrare gli sforzi e il denaro raccolto dalle vendite verso obiettivi precisi, come ad esempio la ricostruzione dell’ospedale di al-Karama, a Gaza City, raso al suolo dagli attacchi “senza alcun motivo” e al momento sostituito da un ospedale da campo.
Proprio in queste settimane, dopo essere stata lanciata nel Regno Unito per poi sbarcare in altri Paesi come Sudafrica, Australia, Spagna e Kuwait, la Gaza Cola sta arrivando anche in Italia, per diventare un aiuto concreto verso le popolazioni palestinesi, che secondo l’ONU sono ormai allo stremo e sull’orlo del collasso.
Disponibile in due versioni, con o senza zucchero, la Gaza Cola, riconoscibile per la lattina rossa decorata con la bandiera palestinese, la “kefiah” e le scritte in arabo, è realizzata e distribuita secondo criteri etici e dichiaratamente “Apartheid Free”.