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“Cambiamo la vita, un pasto alla volta”. Lo slogan scelto da “Home Kitchen”, nuovo locale aperto da poche settimane a Londra nell’elegante quartiere di Primrose Hill, è quantomai azzeccato. Ma a renderlo una notizia che sta facendo il giro del mondo non è la presenza dello chef stellato Adam Simmonds, quanto piuttosto la brigata che scelto, composta da 19 persone scelte fra gli “Homeless” di Londra, i senzatetto.

L’idea è con la collaborazione e la complicità di Alex Brown, direttore della "Soup Kitchen London", un ente benefico nato per dare sostegno alle persone senza casa, gli anziani e gli strati più fragili della popolazione londinese fornendo abiti, supporti psicologici e pasti gratuiti. Esattamente il punto dove è avvenuto l’incontro con lo chef Simmonds, che all’inizio della pandemia aveva offerto il proprio aiuto all’associazione.

Obiettivo dell’Home Kitchen frantumare lo stigma sociale secondo cui chi non ha una casa dove tornare la sera sia un tipo poco raccomandabile di cui è meglio diffidare. La realtà, raccontano Brown e Simmond, è ben diversa: spesso si tratta di persone che fino a pochi anni prima avevano vite normali, ma per quei percorsi strani della vita finiti a perdere tutto. O ancora di sfortunati che non hanno mai avuto famiglie normali, costretti a trovare ogni giorno un modo per sopravvivere.

Prima di essere assunto, ogni componente dello staff è stato formato con un corso di cucina di tre settimane, finendo poi l’apprendistato presso le cucine di “Megaro Hotel”, un prestigioso cinque stelle di Belgrove Street di cui Simmond è chef patron. Ogni componente della brigata guadagna 13,15 sterline all’ora, circa 15 euro, con l’aggiunta dei rimborsi spese per gli spostamenti e dei pasti durante i turni di lavoro.

“Siamo qui per lavorare e per rimetterci in sesto - ha commentato uno dei camerieri nel corso di un servizio dedicato al nuovo locale - non vogliamo pietà: vogliamo essere trattati come tutti gli altri. Ci è stata data una possibilità, forse quella che non abbiamo avuto nella nostra vita”. Quando cucinava per Soup Kitchen, ricorda Simmond, tanti gli chiedevano se conoscesse qualcuno che offriva un lavoro. E lo chef trovava assurdo, capire che tante persone fossero disposte e pronte a lavorare, ma per loro non esistevano opportunità. “Abbiamo pensato: aspetta un attimo, c’è una ricca risorsa di persone che cercano un’occasione e forse possiamo fare qualcosa per loro. In fondo, se si riesce a cambiare la percezione nel mondo della ristorazione, la si può cambiare ovunque”.