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In un periodo di grande attenzione e nuovi studi sull’opera e la figura di Giovanni Francesco Barbieri, detto “il Guercino” (Cento 1591 - Bologna 1666) e all’indomani della riapertura della Pinacoteca Civica di Cento, spicca la ricchissima esposizione che i Musei Reali di Torino presentano nelle Sale Chiablese dal 23 marzo al 28 luglio, prodotta da CoopCulture con Villaggio Globale International.

Un evento spettacolare e di grande originalità curato da Annamaria Bava dei Musei Reali e da Gelsomina Spione dell’Università di Torino, con un comitato scientifico di prestigio, cui partecipano: Daniele Benati, David Garcìa Cueto, Barbara Ghelfi, Francesco Gonzales, Fausto Gozzi, Alessandro Morandotti, Raffaella Morselli, Sofia Villano.

Al centro dell’esposizione il mestiere del pittore nel Seicento, esemplificato sulla figura di uno dei maggiori protagonisti della scena artistica dell’epoca. Ripercorrendo temi e aspetti che attraversano tutta la carriera del Maestro, grazie a capolavori di primo piano, la mostra vuole mostrare la professione del pittore a quel tempo: le sfide del mestiere, i sistemi di produzione, l’organizzazione della bottega, le dinamiche del mercato e delle committenze, i soggetti più richiesti.

A partire dal nucleo di dipinti e disegni appartenenti alle collezioni della Galleria Sabauda e della Biblioteca Reale, oltre 100 opere del Maestro emiliano e di artisti coevi come i Carracci, Guido Reni e Domenichino - provenienti da più di 30 importanti musei e collezioni, compresi il Museo del Prado di Madrid e il Monastero di San Lorenzo a El Escorial - daranno vita a un grande affresco del sistema dell’arte nel Seicento, guidati dal talento di quel “mostro di natura e miracolo da far stupir” che fu Guercino, secondo la definizione che ne diede Ludovico Carracci, impressionato dal suo talento.

Guercino, grazie a una bottega e alla ricchissima documentazione lasciata, alla rete di mentori e intermediari, ai rapporti con tanti e diversi committenti - richiesto come fu da borghesi, nobili, pontefici e prelati, ma anche dalle più prestigiose corti europee – diventa l’esempio perfetto della vita, dell’iter creativo e del mestiere di ogni pittore.

Le opere riunite a Torino nell’occasione - inclusi due dipinti inediti di collezioni private e le tele che permettono lo straordinario ricongiungimento dopo 400 anni del ciclo Ludovisi - sono particolarmente significative per questo racconto, sviluppato in 10 sezioni tematiche tra confronti, parallelismi, testimonianze.

IL PERCORSO

Si parte dalla presentazione dell’artista. Guercino appare, circa quarantenne, e con gli strumenti del mestiere, nel raro “Autoritratto”della Schoeppler Collection di Londra che introduce al percorso: un’opera intima e privata che proprio per questo non risulta nel suo famoso “Libro dei conti”, ma che testimonia il carattere di un uomo fiero e semplice ad un tempo. La fase della formazione si deve, come per tutti i pittori, allo studio di opere di grandi maestri e l’incontro con personalità che incidono nella maturazione di un artista: per Guercino punti di riferimento furono in particolare Ludovico Carracci, ammirato a Bologna ma anche a Cento - di cui si espone in mostra il prezioso olio su rame con “l’Annunciazione” dai Musei di Strada Nuova di Genova - e sul versante ferrarese (prima del viaggio a Venezia) lo Scarsellino e Carlo Bononi. Entrambi sono presenti nel percorso, accanto a due importanti lavori giovanili di Guercino: la piccola tavola con “Il matrimonio mistico di santa Caterina”, in prestito dalla Collezione d’arte Credem e la suggestiva pala della chiesa parrocchiale di Renazzo, con “Un miracolo di san Carlo Borromeo”.

Quindi l’incontro con la realtà e la spiccata vocazione per il quotidiano, che nei primi anni apre alle opere di paesaggio in analogia con quanto proposto da altri artisti come Annibale Carracci, Domenichino e Agostino Tassi di cui la mostra offre testimonianza insieme a importanti disegni di Guercino della Biblioteca Reale di Torino e alle pitture murali di Casa Pannini, che il giovane pittore realizza a Cento tra il 1615 e il 1617 insieme ai suoi collaboratori.

“L’Accademia del nudo” è la fase successiva: Guercino ormai famoso in patria, apre la sua Accademia nel 1616 – così come era uso per i migliori -, facendone un punto di riferimento per molti giovani artisti. In mostra - oltre all’interessante nucleo di 22 incisioni di Oliviero Gatti, tratte dai disegni di Guercino per farne dono al duca di Mantova (Pinacoteca Nazionale di Bologna), restaurate per questa speciale occasione, e accanto alle opere di Annibale e Agostino Carracci -, intenso e suggestivo è il dialogo tra i disegni di nudo del Maestro e il “San Sebastiano curato da Irene” (1619) proveniente dalla Pinacoteca di Bologna.

Richiesto da Jacopo Serra, cardinale legato di Ferrara e raffinato mecenate di Guercino, il dipinto è di qualità straordinaria, per il vivace e intenso naturalismo tipico della poetica del Maestro, che riesce a tradurre la vicenda sacra in vita quotidiana.

Prima di affrontare il tema della bottega e delle sue dinamiche, la mostra ricorda le fasi dell’affermazione del pittore e la geografia delle committenze, che sempre nella carriera di un artista rivestono un ruolo centrale.

In questo contesto, fondamentale risulta la figura di Alessandro Ludovisi, arcivescovo di Bologna e dal 1621 papa Gregorio XV. Questi aveva già conosciuto Guercino grazie alla mediazione di padre Mirandola, grande promotore dell’artista di Cento, e all’apprezzamento di Ludovico Carracci folgorato, come sappiamo, dalla pittura del giovane artista e chiamato dall’arcivescovo Ludovisi a valutare il costo delle opere da lui commissionate.

Tra il 1617 e il 1618 Guercino realizza per Alessandro Ludovisi e il nipote Ludovico, quattro grandi tele, eccezionalmente riunite dopo quattro secoli nella mostra di Torino: “Lot e le figlie” proveniente da San Lorenzo a El Escorial, “Susanna e i vecchioni” prestata dal Museo del Prado, la “Resurrezione di Tabita” dalle Gallerie degli Uffizi- Palazzo Pitti e “Il Ritorno del figliol prodigo” dei Musei Reali.

Un dipinto quest’ultimo che non compare nell’inventario di Alessandro Ludovisi del 1623, ma che nel 1631 è già descritto nelle collezioni sabaude: forse un dono mirato al duca Carlo Emanuele I da parte del Ludovisi, nominato nel 1616 nunzio apostolico presso la corte di Torinoper dirimere le controversie tra la casata dei Savoia e la Spagna.

Il ciclo di tele Ludovisi segna una svolta: con la salita al soglio pontificio di Gregorio XV, Guercino si trasferirà per alcuni anni a Roma, ricevendo nella capitale pontificia importantissimi incarichi. A mostrare la varietà delle committenze che sugellano la fama di un artista, troviamo altri dipinti significativi, sia frutto di incarichi locali che di richieste dalle più prestigiose corti. Tra questi: la splendida tela con “Venere, Marte e Amore” (1633) delle Gallerie Estensi, acquistata per Francesco I d’Este e inclusa nelle decorazioni della ‘Camera dei Sogni’ nel Palazzo Ducale di Sassuolo. “Apollo scortica Marsia” (1618) di Palazzo Pitti, opera intensa che il Malvasia ricorda eseguita per il granduca di Toscana, e ancora “l’Assunta” (1620), un tempo nella chiesa del Rosario a Cento, alla quale il pittore era particolarmente legato.

La bottega diretta da Guercino, frutto del connubio tra i Barbieri e i Gennari – prima a Cento e dal 1642 a Bologna - era organizzatissima, con ruoli e metodi esemplari del sistema del tempo. Il fratello di Guercino, Paolo Antonio Barbieri, ad esempio era specializzato nei dipinti con soggetti “di ferma”, come evidenziano la “Natura morta con bottiglia, frutta e ortaggidi una collezione privata e la “Natura morta con paramenti vescovili e argenti” dalla Pinacoteca di Cento; così all’interno di un’opera gli elementi naturali erano spesso predisposti e Guercino interveniva aggiungendo all’ultimo le figure, come nell’affascinanteOrtolana”, che Giovanni Francesco termina nel 1655, sei anni dopo la morte del fratello, autore dei bellissimi cesti di frutta e ortaggi.

A rendere evidente, invece, la prassi della riproposizione dei modelli e il ricorso a un repertorio di invenzioni, la mostra offre alcuni accostamenti di grande efficacia: dalle due versioni di “Dio Padre” della Galleria Sabauda e della Pinacoteca Nazionale di Bologna (entrambe del 1646) poste accanto all’Immacolata Concezione dalla Pinacoteca Civica di Ancona (1656) - con in cielo un’analoga figura dell’Eterno - al suggestivo confronto tra il “San Matteo e l’angelo”, capolavoro dei Musei Capitolini (1622), e il coevo “San Pietro liberato da un angelo”, uno dei prestigiosi prestiti del Museo del Prado.

Un’infilata di preziosi disegni del centese racconta dell’iter creativo e del momento fondamentale dell’invenzione tramite l’opera grafica: emblematico il “caso” della “Vestizione di San Guglielmo” ricordato grazie a tre degli oltre 20 disegni preparatori originali.

Le logiche del mercato non erano estranee a Guercino e alla sua impresa e il “listino prezzi” variava in base alla tipologia delle figure, alle dimensioni della tela e all’uso dei preziosi pigmenti. Principale concorrente di Guercino sul mercato bolognese era Guido Reni, di cui viene esposto il “San Giovanni Battista” della Galleria Sabauda, mentre a testimoniare il costo elevato delle opere realizzate da Giovanni Francesco Barbieri con il prezioso lapislazzuli e il maggior prezzo dei dipinti con figure intere o a più figure vi sono il “San Francesco riceve le stimmate” (1633) concesso dalla diocesi di Novara, o alcune delle importanti opere presenti nelle collezioni sabaude come le “Sante Gertrude e Lucrezia” (1645) e la “Madonna benedicente” (1651).

Le ultime tre sezioni della mostra sono dedicate ad alcuni dei temi e dei soggetti più aderenti alla realtà del tempo o di particolare successo e dunque maggiormente indagati dal pittore e dalla bottega.

È il caso delle novità scientifiche legate al rivoluzionario pensiero galileiano, che accendono l’interesse di committenti, intellettuali e artisti compreso Guercino, il quale su richiesta dei Medici dipinge il famoso Atlante che regge il globo” (Museo Bardini di Firenze) e con sguardo disincantato disegna invece il “Mago Brumio”, testimonianza delle credenze popolari ancora diffuse.

Quindi, il “gran teatro della pittura barocca” con altri capolavori, tra cui “Il ritorno del figliol prodigo” (1627-28) della Galleria Borghese proveniente dalla collezione romana dei Lancellotti, o “Amnon e Tamar” dalla Galleria Estense di Modena.

La gestualità accesa, la visione ravvicinata e coinvolgente degli eventi e Guercino è un vero maestro in questo, sia nelle rese delle figure che nel dipingere l’apparato scenico ricco di particolari.

La resa teatrale delle tensioni e delle psicologie, dei drammi e delle passioni si coglie anche in uno dei soggetti più amati e di successo dell’arte del tempo e della produzione guerciniana. Una carrellata sorprendente di grandi eroine del mito e della storia - “femmes fortes” che trasmettono coraggio, dignità, intelligenza - chiude la mostra con grande impatto emotivo.

Sono personaggi che Guercino ha contribuito ad eternare nell’iconografia e nell’immaginario: le “Sibille” – con un confronto suggestivo tra quattro differenti raffigurazioni – “Diana, Lucrezia e Cleopatra”, quest’ultima protagonista di un’opera dei Musei di Strada Nuova a Genova, imponente per dimensioni, e di coinvolgente sensualità e modernità.