È nelle sequenza de “Il Postino”, che la malattia di cui soffriva Massimo Troisi si era fatta evidente a tutti: è smagrito e l’aspetto è quello di una persona stanca, affaticata. Ma si era ripromesso di finire le riprese, prima di chiudersi in un lungo stop dalle scene per sottoporsi ad un delicato trapianto di cuore a Houston, in Texas, dov’era già stato operato al cuore quand’era un bambino.
I medici che lo seguivano sul set, fra Salina e Procida, con un’ambulanza sempre pronta, si erano arresi di fronte alla sua testardaggine, arrivando solo al compromesso di due ore di riprese al giorno, e non di più. L’avremmo imparato tutti, che non poteva permettersi neanche quelle.
A poche ore dall’ultimo ciak, tornato al Lido di Ostia a casa della sorella Annamaria, Massimo Troisi muore nel sonno il 4 giugno del 1994 per un attacco cardiaco causato dalla febbre reumatica contro cui combatteva da tutta la vita.
Aveva 41 anni, e proprio oggi ne avrebbe computi 70. Di Troisi è stato detto di tutto, la sua capacità di far ridere e pensare al tempo stesso in quasi trent’anni è stata sminuzzata, analizzata e passata al setaccio in ogni modo, fino a ritrovare in lui una delle ultime maschere napoletane, in qualche modo filtrate attraverso la capacità mimica essenziale e pulita di Buster Keaton e Woody Allen. E non è un caso se anche Massimo è entrato nel ristretto elenco di quei personaggi che alla faccia del destino si sono guadagnati l’immortalità e la gratitudine eterna, come Totò, Eduardo e pochi altri.
Da attore comico, l’Italia l’aveva conosciuto grazie alla straordinaria scuderia del programma “Non stop”, dove Troisi era parte di un trio, “La Smorfia”, affiancato da Lello Arena ed Enzo Decaro. Geometra con la passione per la poesia, era salito sul palco per la prima volta quasi per caso, sostituendo un attore che non si era presentato ad una recita parrocchiale. D’istinto improvvisa, va oltre il copione e conquista tutti. Crea il primo gruppo teatrale e proprio con Decaro e Arena inizia a farsi conoscere fino ad approdare in tivù. È un successo così travolgente e improvviso da spalancargli la strada del cinema, dove debutta nel 1981 con l’indimenticabile “Ricomincio da tre”, pellicola costata 400 milioni di lire e destinata a incassare 14 miliardi. Come di rado accade, è un film che riesce a mettere d’accordo critica e pubblico, ma è soprattutto il giro di boa di Massimo, che da quel momento si staccherà sempre più dall’idea del semplice cabarettista per trasformarsi in autore e regista raffinatissimo, capace di insinuare gocce di leggerezza mentre affronta temi difficili fra cui l’amore, una delle sue tematiche preferite.
Oltre ai film su cui mette il volto e la firma, lavora al fianco di Benigni, consacrando “Non ci resta che piangere” (1984) fra le commedie italiane più divertenti di sempre, poi si lascia dirigere da Scola al fianco di una leggenda vivente come Marcello Mastroianni, interpretandone il figlio in “Che ora è” (1989). Ironia della sorte nel 1982, dodici anni prima di morire, dirige e interpreta “Morto Troisi, viva Troisi”, un film per la tv che racconta le reazioni di amici e colleghi alla notizia della sua morte, annunciata da un lancio del telegiornale. Esattamente come sarebbe successo nel giugno del 1994, solo che questa volta non era finzione.
“Il postino”, adattamento del romanzo “Il postino di Neruda”, com’era stato tradotto in Italia il racconto “Aridente Paciencia”, dello scrittore cileno Antonio Skàrmeta, diventa la sua ultima ossessione e la condanna. Troisi non farà in tempo a vedere l’ultima fatica candidata a 5 statuette dell’Oscar e il suo nome ormai consacrato da Hollywood, fra i grandi registi del tempo.
Ma il destino fa quello che vuole, e decide da solo le regole del gioco. Per Massimo, ha scelto di portarselo via ad un solo passo dalla metamorfosi definitiva, lasciandolo per sempre sospeso fra le battute fulminanti dei suoi personaggi e la sofisticata ironia delle pellicole che il tempo gli ha concesso di girare. E come per chi muore giovane, il suo ricordo non avrà mai a che fare con le rughe e i fastidi del tempo. Riposa accanto ai suoi genitori a San Giorgio a Cremano, dov’era nato il 19 febbraio del 1953. Settant’anni fa.