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Ci sono migliaia di ristoranti, in giro per il mondo, con le pareti ricoperte di foto di attori, artisti, politici e volti comunque noti che hanno mangiato lì. Un modo di dire, senza dirlo, che se gente di un certo rango per trattarsi bene ha scelto quel posto, allora si può andare sul sicuro.

Anche nei tempi in cui la coppia improvvisata Vip-food non era “instagrammabile”, certe cose andavano forte. Un esempio per tutti, la pizzeria “Lenny’s” resa immortale dalle due “slices” da asporto ordinate da Tony Manero, alias John Travolta, nelle prima scena della “Febbre del Sabato Sera”. L’indirizzo, all’86 street di Brooklyn, è diventato per decenni un luogo di pellegrinaggio fino allo scorso febbraio, quando Lenny’s ha chiuso i battenti dopo 70 anni di onorato servizio.

Da lì in poi, complice l’avvento dei social, per bar, fast-food, ristoranti stellati e trattorie non c’è stata più tregua: un continuo via vai di blogger e influencer che in cambio del pranzo o una suite per una notte promettevano recensioni, like e notorietà.

Ma quando la misura si fa colma, si sa, arrivano le contromosse. Il “Dae”, un design, shop, wine bar e cafè che per puro caso è proprio di Brooklyn, ha deciso di rispedire al mittente gli influencer che si presentano alla loro porta. Sul sito ufficiale, si legge un laconico “Grazie per chi rispetta il divieto di utilizzo di laptop e di foto/video all’interno del locale”. Come a dire: vade retro influencer.

Non è il primo caso, e vale anche la decisione dello chef newyorkese Daniel Boulund che stanco di quello che era stato ribattezzato il “circo”, aveva escogitato un diversivo assai efficace: concedere foto e riprese solo in cucina, ma divieto assoluto di farlo in sala e soprattutto scordarsi di mangiare a gratis promettendo visibilità effimere.

Avvisaglie del fenomeno contrario, quello del “deinfluencer”, ovvero coloro che criticano e mettono in discussione ciò che gli influencer lanciano dai loro canali, nella maggioranza dei casi dietro contratti e accordi con compensi a sei zeri.

La verità, ha svelato una professionista delle pubbliche relazioni nel mondo della ristorazione, è che i margini dei ristoratori o di chi gestisce hotel è sempre più ridotto, e permettersi il lusso di ospitare troupe fornate da 5 o 6 persone affamate non è più sostenibile.