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Secondo lo psicologo Richard Stephens, docente alla Keele University di Newcastle, in Inghilterra, una parolaccia pronunciata ogni tanto sarebbe un vero toccasana per un sacco di buoni motivi: oltre a trasformare i concetti in più persuasivi aiuterebbe a sopportare dolori e delusioni, a rafforzare le relazioni interpersonali e ad alleviare lo stress.

Visto sotto questo punto di vista, inizia ad avere un senso il primo corso di studi sulla parolaccia istituito alla “Iulm”, l’università privata milanese. Il corso “Comunicazione e parolacce”, riservato agli studenti delle facoltà di Interpretariato e Traduzione, Comunicazione, Arti e Turismo e valido per ottenere un “badge of honor” che può valere un punto finale sul voto di laurea, è rappresentato da un ciclo sperimentale di lezioni, articolato al momento in sei diversi incontri per 12 ore totali che non ha alcuna intenzione di ampliare il bagaglio di conoscenza dei partecipanti insegnando nuovi turpiloqui, ma piuttosto di studiare un aspetto controverso e mai del tutto affrontato di qualsiasi cultura mai apparsa sulla Terra.

Il corso è affidato ad una vera autorità in materia: Vito Tartamella, giornalista, scrittore e divulgatore scientifico autore del libro “Parolacce” e del sito parolacce.org, che da anni si dedica allo studio del turpiloquio. “Non andrò a insegnare le parolacce agli studenti: vista l’età, è molto più probabile che siano loro a saperne più di me - ha commentato Tartamella – l’idea del corso mi è venuta vedendo quante volte, troppo spesso le parolacce siano fraintese, e a volte strumentalizzate, sui giornali e in tv. Il turpiloquio è il linguaggio delle emozioni e fa parte a pieno titolo della competenza linguistica: chiunque, per poter correttamente parlare e capire una lingua, deve sapere anche che cosa significano queste parole. Perciò non ha senso fingere che queste espressioni non esistano. Al tempo stesso, però, bisogna imparare a riconoscerne il ruolo, e questo è possibile solo studiandone la loro lunga stratificazione culturale e antropologica”.

L’idea, che rappresenta il primo esperimento in Italia, è già stata tentata in altri atenei come l’Università di Chambéry, in Francia, e quella di Caxias do Sul, in Brasile.