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Bellissima, sensuale, disinibita: in una sola parola, libera. Le immagini di Jane Birkin, trovata senza vita ieri nel suo appartamento di Parigi, rimandano l’esistenza di una vera icona senza tempo. Aveva 76 anni, e diverse esistenze attraversate sempre con quell’aria di incoscienza e malizia che racchiudeva nello sguardo di chi è nata libera.

Era diventata celebre sul finire degli anni ’60 e l’inizio del decennio successivo, quando l’eredità della “summer of love” californiana aveva lasciato in eredità il diritto al proprio corpo, al piacere fine a se stesso, ai mini-abitini con gli stivali alti che oggi sono tornati di moda.

Londinese, era arrivata in Francia a soli 21 anni e nel 1968 aveva conosciuto Serge Gainsburg, chansonnier e intellettuale francese che alla mancanza di una bellezza altrettanto folgorante sfoderava un’intelligenza eccentrica e una passione per gli eccessi. Dopo un primo periodo all’Hotel di rue des Beaux Arts, dove era morto Oscar Wilde, i due vanno a vivere al 5 bis di rue de Verneuil, la residenza di Gainsburg, celebre per essere un’esplosioni di suoni, colori e fiori. Un luogo di ritrovo per intellettuali, artisti e imbucati di lusso che lui stesso non aveva saputo mai definire: “Casa mia è un salotto, una sala da musica, un bordello, un museo”.

Nel 1969, la coppia si chiude in una sala dello Studio Barclay, su Avenue Hoche: quando esce ha inciso un brano destinato alla storia della musica, non tanto per questioni artistiche, ma perché simbolo indelebile della rivoluzione sessuale. Si intitola “Je t’aime… moi non plus”, brano che Gainsburg aveva scritto per Brigitte Bardot, l’ex compagna, ma l’incisione con BB viene bloccata da una pattuglia di avvocati messi in moto da Gunther Sach, l’allora compagno della Bardot.

In 4 minuti e 32 secondi è racchiuso l’amplesso di un uomo e una donna, fra sospiri, parole sussurrate e una melodia malandrina suonata da Michel Colombier. In realtà, riconoscerà la storia postuma, non c’è nulla di pornografico, anzi, è un brano sospeso fra malinconia e romanticismo. Ma ha il potere di spazzare via la mentalità bigotta di allora, fatta di ipocrisia, conformismo e finto decoro.

In una celebre intervista rilasciata a L’Europeo, è lo stesso Gainsburg a spiegare che la contraddizione del titolo (Io ti amo.. neanche io) è la chiave di volta del brano: l’amore fra due persone, puramente sessuale, in cui lei sente il bisogno di appellarsi a un sentimento che lui, al contrario, rimanda al mittente ogni tentativo. Un titolo ispirato ad una celebre frase di Salvador Dalì: “Picasso è comunista, nemmeno io”.

Inutile aggiungere che il singolo diventa immediatamente un successo mondiale, colpito dalla mannaia della censura in diversi paesi compresa l’Italia, dove viene esclusa dal programma radiofonico “Hit Parade”, condotto da Lelio Luttazzi, per manifesta oscenità: agli anatemi dell’Osservatore Romano segue il sequestro di ogni copia sul territorio nazionale. Lo stesso accade nel Regno Unito, dove oltre alla censura della “BBC”, scatta il sequestro del 45 giri.

Nel tempo, ogni possibile tentativo di cover, malgrado il talento di Donna Summer, Madonna, Pet Shop Boys e perfino Giorgio Albertazzi e Anna Proclemer, non riusciranno minimamente a cancellare i sospiri di piacere originali, quelli di Jane Birkin e Serge Gainsburg.