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Per molti, la diffusione sempre più capillare della “Kombucha” potrebbe segnare la fine di toniche, soda e prosecco nei drink miscelati, nei cocktail e nei mocktail.

Merito del sapore vagamente acidulo, della frizzantezza, della scarsa presenza di zuccheri e di un tenore alcolico bassissimo, ma soprattutto perché trattasi di una bevanda naturale, ottenuta dalla fermentazione del tè attraverso lo “Scoby”, un’antichissima tecnica di coltura di batteri, lieviti e microrganismi.

A renderla sempre più popolare una serie di ricerche scientifiche che hanno confermato una lunga serie di benefici per l’organismo, a cominciare dal placare i problemi di digestione e i dolori artritici all’essere un ottimo alleato contro stress e colesterolo alto. Per finire con gli effetti lassativi, l’eliminazione delle tossine e il mantenimento dell’equilibrio della flora intestinale.

Ma nulla sarebbe del Kombucha (da non confondere con il Konbucha, un’alga marina) senza il passaggio del già citato Scoby, che trasforma e rende innocuo quasi totalmente l’alcol generato dalla fermentazione. Il Kombucha può essere preparato utilizzando diverse varietà di tè e aromatizzato con gli ingredienti più diversi in base ai gusti, rendendo le combinazioni pressoché infinite.

Le origini di questa bevanda antichissima – detta anche “elisir di lunga vita” - si perdono nella notte dei tempi, anche se è stata ipotizzata la nascita in Manciuria, attraverso cui l’uso si sarebbe poi diffuso in Asia e in Russia.