Torino, che non è New York, tra le curiosità architettoniche vanta la “fëtta ‘d polenta”, nome popolare di “Casa Scaccabarozzi”, celebre edificio dalla forma trapezoidale nel quartiere Vanchiglia, tra corso San Maurizio e via Giulia di Barolo. Progettata da Alessandro Antonelli, deve il nome alla moglie dell’architetto Scaccabarozzi, una nobildonna cremonese.
Ma anche New York, che non è Torino, può vantare un edificio simile, addirittura più celebre perché si sa, quello che arriva dall’America non sempre è migliore, ma sicuramente più grande e spacciato molto meglio. Insieme al ponte di Brooklyn, all’Empire State Building e alla Statua della Libertà, il “Flatiron Bulding” rappresenta una delle attrazioni imperdibili di Manhattan.
Il vero nome, anche in questo caso, è un altro, “Fuller Building”, che con i suoi 86,9 metri fino all’inizio del Novecento era il palazzo più alto di New York. A volerlo con la caratteristica forma di “ferro da stiro” era stato un architetto di Chicago, Daniel Burnham, e all’inizio era guardato con sospetto dai newyorkesi perché situato tra la Fifth Avenue, la 23esima e Broadway, in un punto nevralgico dove i venti della baia si concentrano diventando spesso molto forti.
Ma i 22 piani del Flatiron, costruito in stile Beaux-Arts e rivestito di pietra calcarea e terracotta, resistono ai secoli e ai proprietari. Inizialmente destinato agli uffici della “George A. Fuller Company”, viene acquistato dai Newhouse, due fratelli che avevano fatto fortuna scavando nelle miniere. Nei vari passaggi di proprietà, l’edificio non perderà mai la caratteristica di centro direzionale ospitando di volta in volta uffici e mai appartamenti, e per questo chiuso al pubblico, che lo può ammirare solo dall’esterno.
Nell’ultimo passaggio di proprietà, il palazzo finisce spezzettato in quattro diverse società immobiliari: GFP Real Estate, Newmark, ABS Real Estate Partners, Sorgente Group e Nathan Silverstein, legate fra loro da un contratto secondo cui è sufficiente il parere contrario di una sola per bloccare qualsiasi decisione.
E proprio qui iniziano i problemi, perché da quando la “Macmillan Publisher” ha deciso di cambiare sede lasciando i 22 piani del Flatiron, la Nathan Silverstein – forte del proprio 25% - si è messa di traverso, facendo naufragare una dopo l’altra tutte le nuove proposte di affitto. La vicenda è passata ben presto nelle mani degli avvocati, e subito dopo nelle aule dei tribunali, visto che nel frattempo ci sono stati anche costosi lavori di manutenzione da dividere.
L’atto finale, che cambierà ancora una volta il destino del Flatiron Builiding, sarà scritto dal 22 marzo prossimo nelle sale della “Mannion Auctions”, dove il grattacielo più bizzarro di Manhattan andrà all’asta al miglior offerente.