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Quella di Elvis Francois è una storia strana, ma del genere che fanno bene all’anima. Malgrado il nome, che l’ha trasformato nella passione vivente di suo padre per “The King of Rock”, Elvis Francois con la musica non c’entra nulla, e tantomeno con il mondo ricco ed esclusivo che gira intorno all’industria musicale. Elvis, in questo caso, è il nome di un povero pescatore che vive, o meglio sopravvive come può, sull’isola di St. Martine, nelle Antille Olandesi. Uno di quei posti che sono un paradiso se ci capiti in vacanza per due settimane ‘all inclusive’, ma se ti tocca viverci mettendo insieme colazione, pranzo e cena allora non è uno scherzo per gente debole.

La vicenda di Elvis inizia un giorno dello scorso dicembre, quando si rende conto che la povera barchetta a cui affida le speranze di riuscire a sfamare la famiglia, aveva ormai urgente bisogno di riparazioni. Si chiude dentro la cabina e armato di vernici, chiodi e martello va avanti per ore, trovando ogni volta qualcosa da riparare che gli era sfuggito prima. Concentrato sui lavori, non si rende neanche conto che la barca si era sganciata dall’ormeggio e le correnti l’avevano portato al largo, dove le luci della costa quasi non si vedevano più. Si attacca alla radio di bordo e riesce a lanciare l’allarme, ma quando i soccorsi sono pronti a partire lui non risponde più: la sua barca è ormai troppo lontana.

Sta iniziando l’avventura peggiore di tutta la sua vita, e forse l’incubo di qualsiasi marinaio: solo, in mezzo al nulla dipinto di blu che quando vuole sa essere meraviglioso, ma se perde le staffe non fa sconti a nessuno. Rassegnato ad aspettare, Elvis fa tutto quello che può per svuotare la sua barca dall’acqua che insiste a voler entrare, e raziona il poco di commestibile che trova negli armadietti: delle bustine monodose di ketchup, qualche cubetto di dado e un contenitore di aglio in polvere. Poco, ma quanto basta per sopravvivere a 24 giorni ingoiato dall’oceano.

Quando le forze iniziavano a mancare e nella mente si faceva strada l’idea che nessuno sarebbe andato a cercarlo, Elvis sente l’inconfondibile rumore di un aereo: raccoglie le ultime bustine di ketchup, sale sul tetto della sua barca e scrive “Help” con la salsa rossa. Poi prende uno specchietto e cerca di richiamare l’attenzione dei piloti.

Lassù qualcuno lo vede, ma non è possibile atterrare in mezzo al nulla: in compenso avvisano le autorità di un’imbarcazione alla deriva che chiedeva aiuto segnalandone la posizione esatta

 Lo recupera 24 giorni dopo una portacontainter colombiana diretta al porto di Cartagena. Gli dicono che con il suo guscio male in arnese ha percorso 120 miglia nautiche in balia delle onde, finendo nelle vicinanze della penisola di Guarajira, in Colombia. A proposito: salvare lui non ha significato salvare anche la sua barca. Spiacenti.

Ma la storia non è finita, anzi, è solo all’inizio. L’eco della vicenda di Elvis Francois finisce alla sede della “Heinz”, il colosso agroalimentare con sede a Pittsburgh, in Pennsylvania, dove decidono di voler conoscere Elvis. Ma rintracciarlo non è semplice: non ha un cellulare e neanche un indirizzo email. L’azienda lancia una campagna in cui un fantomatico messaggio in bottiglia chiede a chiunque ne abbia la possibilità di avvisare Elvis, perché l’essere riuscito a sopravvivere succhiando soltanto bustine di ketchup li ha commossi. E per ricambiare, vogliono regalargli una nuova barca, che non ha alcun bisogno di riparazioni.