Era notte fonda, le 3 del mattino, quando il silenzio della grande villa immersa in un elegante sobborgo di Pretoria, viene rotto dal suono sinistro di 4 colpi di una 38 Special. A esploderli è Oscar Pistorius, 26 anni, il paralimpico dei record, un uomo che aveva deciso di non dar retta ad un destino bastardo che ad appena 11 mesi, aveva preferito privarlo delle gambe, amputate per una grave malformazione che l'avrebbe condannato ad una vita perfino peggiore.
Dall’altra parte della pistola c’è Reeva Steenkamp, splendida modella 29enne con la quale Pistorius convive da meno di un anno. È il 14 febbraio del 2013, il giorno di San Valentino, la festa degli innamorati, ma quel giorno si tinge del rosso del sangue di Reeva, declassando in un istante Oscar Pistorius da leggenda vivente a spietato assassino.
Poche ore dopo la polizia lo arresta, e il primo tribunale lo accusa di omicidio colposo grave. Lui si difende dicendo di aver sparato verso un’ombra scura che si muoveva nella notte, convinto che fosse un ladro. Ma l’accusa smonta una dopo l’altra le ricostruzioni, facendo a pezzi quel che resta della favola di Oscar, “the fatest man on no legs”, il più veloce uomo al mondo senza gambe.
Il primo colpo ha perforato il femore di Reeva frantumandole l’anca, il secondo l’ha colpita alla schiena, il terzo le ha trapassato una mano e il quarto l’ha centrata alla testa, fracassandola. Quattro colpi sono troppi per credere al caso, c’è di mezzo la crisi profonda che attraversava la coppia da qualche tempo, come confermeranno amici e parenti. A peggiorare la situazione le dichiarazioni delle ex fidanzate, che sfilando ai processi raccontano di un uomo facile alla rabbia, morbosamente geloso e che girava armato perché ossessionato dalla sicurezza. L’esatto elenco dei motivi per cui Reeva aveva deciso di lasciarlo, come confermato dalle valigie pronte ritrovate dalla polizia nell’appartamento dell’omicidio.
Fra appelli e nuovi processi la situazione di Pistorius invece di migliorare peggiora ad ogni nuovo tentativo, arrivando all’ultimo passaggio davanti alla Suprema Corte d’Appello di Johannesburg, che porta la pena a 13 anni e sei mesi di reclusione. Da allora, era il novembre del 2017, il mondo ha preferito dimenticarsi di Oscar Pistorius, ingoiato in una cella del carcere di Atteridgeville dove secondo la legge sudafricana deve restare almeno 10 anni prima di poter chiedere la libertà condizionale.
I dieci anni sono passati, e Oscar riemerge dal silenzio che l’ha avvolto in tutto questo tempo, pronto a richiedere di poter scontare il resto della pena ai domiciliari. Sa bene che la concessione passa da parametri rigorosi che lui ha cercato di rispettare il più possibile, e comunque dal parere finale dei giudici.
La speranza che sta vivendo Pistorius in questi giorni l’ha svelata il suo ex manager, Peet Van Zyl, uno dei pochi a non aver mai smesso di fare visita a Oscar in questi lunghi anni. Racconta di un uomo profondamente diverso da come lo mostrano le ultime immagini disponibili, quelle dei processi: ha perso i capelli, ha il vizio del fumo, non si perde una gara di atletica in televisione, studia business administration e fra le sue mansioni quotidiane in galera c’è la pulizia dei bagni. Ma sa anche che fuori da lì non sarà facile, perché quei 4 colpi di pistola hanno cancellato ogni record, medaglia e riconoscimento come un colpo di spugna. E dell’uomo che volava sulle protesi e incantava il mondo non resta più niente, a parte i 4 colpi di pistola di quella notte.