Capita che le tecnologie nate per dovrebbero aiutarci a vivere meglio, alla lunga finiscono solo per complicarci la vita. Se l’esempio primo, quello che tutti hanno provato almeno una volta, sono l’ansia e il senso di smarrimento provocati dallo smartphone dimenticato o peggio ancora perso da qualche parte, altri affanni non meno subdoli sembrano pronti a toglierci il sonno.

Di uno, in particolare, se n’è occupato il quotidiano spagnolo “El Paìs”, intervistando William Becker, professore alla Virginia University fra gli autori di uno studio, uno dei primi, dedicati alla “E-anxiety”.

In pratica, l’ansia della email in arrivo, quelle che non conoscono orari e giorni di festa, così subdole che anche se si evita di rispondere per ricordare che al di fuori dell’orario di lavoro non c’è santo che tenga, si trasformano in un tormento mentale. “Se il lavoro è l'ultima cosa a cui qualcuno pensa prima di andare a dormire, probabilmente c'è qualcosa che non va”, sintetizza il professor Becker.

Lo studio ha analizzato 400 dipendenti di diversi settori fra pubblico e privato che hanno ammesso di aver sviluppato una sorta di dipendenza dalla posta elettronica, che controllano centinaia di volte durante il giorno. Il risultato è che per la maggior parte dei soggetti coinvolti nel test, il pensiero maniacale è stato indotto da capi che hanno loro stessi l’abitudine di infischiarsene di giorni e orari per mandare email magari a notte fonda, aspettandosi una risposta nel giro di poco, col risultato di creare uno stato di ansietà nei dipendenti che presto o tardi finisce per avere effetti sul lavoro stesso, e a ruota sulla vita e gli affetti.

È un effetto collaterale di quella cultura del ‘tutto e subito’ che è figlia degenere dell’immediatezza a cui ci hanno abituati i moderni metodi di comunicazione, ma che può essere combattuta semplicemente imparando a distinguere ciò che realmente è urgente, importante e non rinviabile dal resto, a cui a ben vedere appartiene generalmente la maggior parte delle email ricevute. In pratica una terapia a scalare in cui è necessario imparare a dare il giusto peso scegliendo il momento della risposta, ma soprattutto riuscendo a staccarsi da computer, smartphone o tablet, senza più spremerli di continuo per controllare la posta.

Atteggiamenti che, secondo un rapporto della “Fremap”, alla lunga possono avere ripercussioni anche pesanti: l’analisi di 380mila assenze per malattia da lavoro di circa 3 milioni di lavoratori passate al setaccio, ha dimostrato che fra il 2015 e il 2021, i certificati di “invalidità temporanea per disturbi comportamentali” sono aumentati del 17% su scala globale.

Un report del 2019 della “Adobe” testato su un campione di 1000 impiegati americani, ha dimostrato che ognuno immola almeno tre ore al giorno per smistare la posta elettronica, gestendo con una media di 147 messaggi al giorno. E peggio ancora è andata durante il Covid, quando il lavoro da remoto ha preso il sopravvento, portando ad un aumento del 15% delle richieste di giorni di ferie e riposi per stress.