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C’è un gradino, tanto invisibile quanto insormontabile, che divide gli uomini dalle donne. Malgrado i passi avanti del progresso e l’apertura mentale più moderna e incline ai cambiamenti, il “gender gap” c’è, sopravvive, si tramanda da secoli e mette le donne nel bisogno continuo di fare, essere e dimostrare sempre qualcosa di più. Pena restare un passo indietro rispetto ai maschi, più o meno Alfa che siano.

Secondo diverse analisi e ricerche, uno dei posti peggiori dove nascere donne è l’Afghanistan, Paese in cui i matrimoni forzati sfiorano l’80%, i casi di violenza sono pura normalità quotidiana e quasi il 15% delle donne non sa né leggere né scrivere. Al contrario, al vertice per l’inclusività arrivano i Paesi scandinavi, Danimarca in pole position, considerato uno dei Paesi migliori dove nascere e vivere da donna.

Una differenza dal resto del mondo così marcata che in un altro paese nordico, la Norvegia, sta spingendo gli uomini a protestare. Al netto di una differenza salariale e una difficoltà tutta femminile di poter ambire a posti di lavoro apicali e dirigenziali che anche da quelle parti continuano a persistere, seppure in misura minore, gli uomini lamentano spaccature sociali che distinguono nettamente le donne che arrivano al top della carriera dagli uomini che viceversa non riescono neanche ad averne una. E il malcontento è così generalizzato e diffuso da aver costretto il governo ad agire, nel nome delle politiche di eguaglianza e parità considerate fra le più avanzati e lungimiranti al mondo.

“Anche se nel 10% dei norvegesi con più successo economico sono uomini, non siamo tutti uguali – tuona Claus Jervell, presidente del Consiglio maschile (“Mannsutvalget”) - la società norvegese negli ultimi decenni è molto cambiata. Prima c’era una grande maggioranza di uomini nelle università e nei ruoli prestigiosi, ora il 60% dei dottorandi norvegesi sono donne e in molti settori che prima erano dominati dagli uomini, le donne norvegesi sono ormai in maggior parte e questo non significa parità di genere, perché le donne non sono necessariamente più intelligenti degli uomini”.

Negli ultimi due anni il Mannsutvalget, comitato creato nel 2022 dall’allora ministra della Cultura Anette Trettebergstuen, si è impegnato per capire i motivi che portano gli uomini norvegesi ad essere vittime di un sonoro svantaggio rispetto alle donne. Un bisogno di interventi che significa soltanto rimettere ordine nella corsia di sorpasso, concedendo ai maschi almeno ogni tanto qualche piccolo vantaggio, ma soprattutto sottolineare che malgrado la tanto decantata parità, a morire per incidenti sul posto di lavoro sono sempre di più gli uomini. E sono sempre i maschi ad alzare il tasso annuale di suicidi, e a rivestire il ruolo tanto di carnefici quanto di vittime di violenze. Per non parlare delle malattie croniche, che debellano gli uomini più di quanto accada alle donne, di gran lunga più seguite da controlli e protocolli di prevenzione.

Per questo, il Mannsutvalget ha chiesto di varare con urgenza iniziative che partano dall’educazione scolastica, dove i maschi partono in netto svantaggio. “Spesso le ragazze sono più mature dei compagni maschi e si adattano meglio alle richieste della scuola, per esempio a livello di disciplina. Di conseguenza, i risultati degli alunni maschi sono in media più bassi di quelli delle ragazze e le statistiche parlano di un tasso maggiore di abbandono scolastico tra i ragazzi. Tra le proposte c’è quella di permettere di scegliere quando iniziare il percorso scolastico in base al livello di maturità di ogni alunno”.

Teorie che inevitabilmente hanno accesso il dibattito sulle parità di genere, e per di più in uno dei Paesi dove la faccenda sembrava “quasi” risolta, con un’autentica sommossa popolare che ormai da mesi va in scena sui social, dove i maschi non esitano a considerarsi vittime sacrificali delle lotte femministe che anche loro – ingenuamente – hanno appoggiato anni prima, per ritrovarsi nella condizione di figli di un dio minore, con bisogni, necessità e diritti calpestati quotidianamente.

Un putiferio che ha spinto lo stesso Jervell, presidente del Mannsutvalget, a correggere il tiro nel tentativo di placare gli animi: “Il fatto che esista un Consiglio maschile non vuol dire che non ci sia più bisogno di lottare per i diritti delle donne, anzi in molti contesti questi non sono ancora garantiti”.