C’è molto di più di un semplice premio, nella statuetta dell’Oscar come migliore attore che Brendan Fraser ha conquistato questa notte al “Dolby Theater” di Los Angeles, il sacro giorno in cui Hollywood celebra se stessa.
Nato a Indianapolis nel 1968 da genitori canadesi, si avvicina al mondo dello spettacolo dopo uno spettacolo a cui assiste nel West End di Londra durante una vacanza. È un bel ragazzo, alto e dall’aria simpatica e dopo qualche parte secondaria arriva l’occasione giusta: il ruolo da protagonista in “George re della giungla” (George of the jungle, 1997), dove interpreta una sorta di Tarzan allevato dagli animali di una giungla africana. Un successo bissato l’anno successivo con “La mummia”, un adventure kolossal in cui è affiancato da Rachel Weisz. A Hollywood, se una pellicola che macina dollari è un inidizio, due di seguito fanno una certezza: è nata un’altra stella, e va lucidata con cura.
Ma il destino da quelle parti è veloce ad arrivare e altrettanto a darsela gambe. Alle prese con problemi fisici dovuti alle acrobazie cui era costretto da ruoli, Fraser aggiunge un divorzio complicato e una molestia sessuale subita da un potente personaggio di Hollywood durante una cena. È il punto d’impatto di una tempesta perfetta che gli apre le porte della depressione, condita da alcol e droghe, che gli mostrano la porta del mondo del cinema. Per oltre 10 anni, di lui si ricordava soltanto chi l’aveva visto nel pieno della sua fisicità, quand’era zeppo di muscoli e simpatia a sufficienza per incarnare un nuovo modello di eroe americano. Ma di tutto quello, non era rimasto nulla: per anni la sua carriera, al limite della sopravvivenza, si riduce a piccole parti in qualche serie televisiva.
A ridargli fiato è il movimento #MeToo, nato spontaneamente all’indomani dello scandalo Weinstein: convinto dal coraggio di numerose colleghe che una dopo l’altra rivelavano anni di violenze subite in silenzio, accusa di molestie sessuali Philip Berk, ex presidente della Foreign Press Association, l’uomo che quella sera aveva pensato di portarsi a letto l’attore del momento.
Ma a volte il destino è magnanimo, e accetta di concedere una seconda occasione. Per Brendan Fraser arriva con “The Whale”, adattamento per il grande schermo dell’omonima piece teatrale di Samuel D. Hunter. Per calarsi nel ruolo di Charlie, l’introverso professore di inglese obeso che tiene corsi di scrittura universitari in videoconferenza senza mai mostrarsi, Fraser è stato costretto a scendere a patti con il proprio passato difficile. Ma proprio per ciò che aveva vissuto sulla pelle, il ritratto di un uomo affetto da “Bine eating desorder”, depresso da decenni e con alti rischi cardiaci, diventa il ruolo della sua vita, quello che ha convinto i giurati dell’Academy Awards a considerarlo l’attore che più di ogni altro meritava il riconoscimento dell’Oscar. Forse anche un parziale risarcimento di ciò che il cinema gli aveva dato e tolto con la stessa ferocia.
“Se anche voi, come Charlie, che interpreto in questo film, state lottando in qualche modo con l'obesità o vi sentite in un mare oscuro, voglio che sappiate che potete trovare la forza di alzarvi e andare verso la luce. Vi accadranno cose belle. Ringrazio Darren Aronosky, il regista, per avermi dato un’ancora di salvezza creativa. Ho iniziato a fare questo mestiere più di 30 anni fa e le cose non sono sempre state facili, ma avevo qualcosa che all'epoca non sapevo apprezzare, almeno fino a quando l’ho persa”.
La vera carriera di Brendan Fraser inizia oggi, a 55 anni: messo l’Oscar su una mensola di casa, sta per tornare nelle sale con “Killers of the Flower Moon”, diretto da Martin Scorsese e affiancato da Leonardo Di Caprio e Robert De Niro. Il resto, è ancora tutto da inventare.