Altri tempi, erano “gli anni del grande Real, gli anni di Happy Days e di Ralph Malph”, ma anche quelli dei picnic, delle gite fuoriporta e dei campeggi. In una sola parola: gli anni dei “Tupperware”. I contenitori in polietilene e polipropilene che andavano bene per conservare i cibi nel frigo, o portarli ovunque.
Talmente celebri da diventare la definizione non tanto di un’azienda, ma dello stesso prodotto: magie del marketing storicamente riuscite a pochi eletti come “Rimmel”, “Autogrill” e “Biro”.
I Tupperware li aveva inventati Earl Silas Tupper nel 1946, correndo a depositare il brevetto della “Ciotola meraviglia” con l’altrettanto celebre “tappo a stappo” che garantiva la conservazione a tenuta stagna. Prodotti a Orlando, in Florida, e lanciati nei grandi magazzini americani, i Tupperware fanno fiasco non perché non piacciano, ma semplicemente perché non è ben chiaro a nessuno come vadano usati. Nei consumatori di allora, ancora troppo ingenui, mancava il passaggio di qualcuno che spiegasse perché erano indispensabili, o più ancora, necessari. Ma tant’è: pochi anni dopo, arriva la decisione di ritirarli.
A tutto questo assiste da spettatore interessato un certo Brownie Wise, ex rappresentante in cerca di una svolta alla carriera. Rileva quel che resta dell’azienda e fa esattamente quel che sapeva fare: inizia a venderli spiegando di volta in volta funzionalità e praticità. Le vendite crescono e Wise sceglie di assoldare un mezzo esercito di venditrici che seguono le regole dei “Party Tupperware”, dimostrazioni per la vendita diretta, di casa in casa, senza passare attraverso la grande distribuzione.
Alla metà degli anni ’50 la storia è completamente cambiata: non c’è famiglia americana che non abbia in casa una collezione completa di Tupperware, ovviamente venduta dalle tre milioni di dimostratrici.
Ma il tempo non perdona, e dopo aver abbandonato la strada della vendita diretta, l’azienda ha pensato di affidarsi al circuito di grandi magazzini, con una colpa in più: non aver saputo rinnovare il modello di business malgrado, al contrario, alla collezione di contenitori si aggiungessero ogni anno nuovi modelli. Non da ultimo, l’avversione delle giovani generazioni per la plastica, nel nome del rispetto ambientale.
Il risultato finale è storia recente, di poche settimane fa, quando le azioni dell’azienda hanno perso all’improvviso il 50% del valore, trascinate verso il basso da un annuncio ferale: difficilmente riusciremo ad andare avanti.
Complice un calo verticale delle vendite del 20% annuo che ha trascinato la società a perdere quasi del tutto il proprio valore in borsa. Una discesa inarrestabile iniziata nel 2018, quando l’improvvisa chiusura di stabilimenti in Israele e in Olanda avevano acceso gli allarmi a Wall Street. E per assurdo, è proprio durante il lockdown che le vendite di Tupperware si impennano, ma è solo una fiammata. Forse l’ultima.