Galleria fotografica

Sono davvero in pochi ormai, coloro che non hanno mai avuto a che fare con un “QR Code”, una versione bidimensionale di codice a barre sviluppato in verticale, composto da moduli neri e bianchi e leggibili attraverso un lettore ottico o un semplice smartphone.

Da trent’anni, il QR Code imperversa nelle nostre vite e ha vissuto un’autentica esplosione quando il mondo si è trovata a fronteggiare il Covid e la necessità di posare le mani in giro il meno possibile. A rimediare ci ha pensato il QR Code: è sufficiente inquadrarlo con l’obiettivo dello smartphone per veder comparire in cambio menù di ristoranti oppure orari di tram, bus e treni, informazioni, date di scadenza, perfino video, contenuti e pubblicità.

A inventarlo, per puro caso, era stato nel lontano 1993 Masahiro Hara, un ingegnere della “Denso”, colosso giapponese di sistemi integrati e componenti per l’auto, alla ricerca di una soluzione pratica per tracciare il percorso dei pezzi e mettere ordine all’interno degli immensi stabilimenti “Toyota”. La storia racconta che ad ispirare Masahiro sia stato “Go”, un antico gioco di strategia simile alla Dama in cui i giocatori devono collocare pedine nere e bianche nel tentativo di controllare una zona del “goban” (la scacchiera) maggiore rispetto all’avversario.

Sono sufficienti i primi prototipi per far decollare i QR Code, brevetto reso “libero” al mondo intero dalla Denso: ne approfitta per primo l’industria e l’universo dell’automotive, almeno fin quando lo scopre anche il resto del pianeta, che nella sequenza di quadratini bianchi e neri trova un modo pratico ed economico di racchiudere le informazioni più svariate.

A dirla tutta l’Europa e l’Italia in particolare sono fra gli ultimi ad adottare i QR Code, considerato un inutile doppione del codice a barre che al contrario imperversava da tempo. In realtà, la differenza è evidente: i codici a barre hanno il limite di 20 caratteri alfanumerici, mentre un QR Code può racchiudere fino a 20mila informazioni.