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Una lettera, un biglietto o una cartolina sono ricordi, pezzi di vita passata che spesso finiscono nel fondo di un cassetto e quando per caso riemergono, hanno lo straordinario potere di far rivivere momenti intensi. Un piacere sottile che la tecnologia ha cancellato in modo totale e definitivo nel nome del tutto & subito.

Difficile pensare che un’email o un sms possa vincere il tempo allo stesso modo, così come è altrettanto complicato immaginare che una persona innamorata prenda carta e penna per trasferire le proprie emozioni. Anche perché, secondo quanto racconta un’inchiesta del “Telegraph”, molto probabilmente non sarebbe in grado di farlo. Non a caso, secondo l’Osservatorio carta, penna e digitale della Fondazione Einaudi, i casi di disgrafia in Italia sono aumentati del 163% in appena dieci anni. Giusto per essere chiari, la disgrafia è un disturbo della scrittura che rientra nella fera dei DSA, Disturbi Specifici dell’Apprendimento.

“I bambini non sanno più scrivere a mano, e se lo fanno, le frasi sono incomprensibili”, tuona il quotidiano inglese, che lamenta l’incapacità di scrivere correttamente le lettere ‘più complicate’ come la “f” o la “g”, o di alternare il corsivo al maiuscolo. Oggi tutto è stringato, conciso, racchiuso nel numero di caratteri massimi consentiti dai messaggini, fenomeno che porta in dono uno slang fatto di acronimi e abbreviazioni, da usare quando non è possibile sintetizzare tutto con un emoticons, le faccine che riassumono gli stati d’animo più comuni.

Nel Regno Unito, spiega il Guardian, i programmi scolastici prevedono che i bambini debbano imparare “a scrivere a mano in modo chiaro, fluente e sempre più veloce entro gli 11 anni di età”. Ma così non è: secondo uno studio realizzato dal “National Literacy Trust”, su 76mila piccoli inglesi solo uno su dieci scrive a mano da solo ogni giorno, a fronte del 50% registrato nel 2009. Altri studi scientifici, questa volta realizzati in Norvegia, Stati Uniti e Giappone, hanno dimostrato che impugnare una penna, fare pressione su un foglio e creare lettere rappresenti “un’azione cognitivo-motoria che richiede molta più attenzione di quanta ne serva per agire su una tastiera”. E diversi altri esperimenti nel tempo hanno provato quanto la scrittura a mano influenzi positivamente memoria, ortografia e pensiero concettuale: chi scrive a mano tende ad avere maggior concentrazione, un’esposizione verbale migliore, una più alta comprensione del testo e una più elevata capacità di rielaborare e personalizzare le informazioni.

Per fortuna, l’impoverimento culturale di una società immersa e travolta dalla tecnologia sta mettendo in allarme chi ha il potere di fare qualcosa. Nel Regno Unito Mellissa Prunty, presidente della “National Handwriting Association”, ha formalmente chiesto “che la scrittura a mano venga insegnata anche nella scuola secondaria”, mentre dalle nostre parti si registra la nascita di un intergruppo parlamentare proposto da Fratelli d’Italia che ha in mente di istituire la “Settimana nazionale della scrittura a mano”, con l’obiettivo di ottenere il riconoscimento della calligrafia come patrimonio dell’umanità Unesco, a difesa “di un elemento fondamentale della cultura italiana e occidentale”.