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Da nuova modalità di lavoro più agile e moderna a complicazione, il passo è breve. Lo dimostra il clamoroso dietrofront di “Amazon”, che dopo aver accettato e appoggiato lo smart working, ha deciso di dire basta: dal prossimo 2 gennaio, tutti in ufficio per i 5 giorni canonici della settimana lavorativa.

La comunicazione, inviata dal CEO Andy Jassy ai dipendenti, è l’ultimo passaggio della decisione di mettere la parola fine al personale ancora autorizzato al lavoro da remoto, iniziata a metà dello scorso anno con la richiesta di presentarsi in ufficio almeno tre giorni a settimana.

“Abbiamo deciso di tornare a lavorare in ufficio come facevamo prima dell’inizio del Covid – si legge nella comunicazione di Jassy - abbiamo capito che è più facile per i nostri collaboratori imparare, modellare, praticare e rafforzare la nostra cultura, collaborare, fare brainstorming e inventare diventa più semplice ed efficace”. Al rientro di massa negli uffici, il colosso dell’e-commerce salva i manager e poche eccezioni riservati a casi e situazioni particolari di dipendenti come emergenze familiari, malattie o necessità di isolamento.

Ovviamente, ad andare in soffitta non è solo lo smart-working, ma anche “l’hot desking”, la scrivania in condivisione e non più personale.

Amazon è il primo fra i colossi mondiali a fare retromarcia sulla modalità di lavoro che sembrava rappresentare uno dei pochi lasciti positivi del periodo della pandemia: un metodo che metteva d’accordo la “work-life balance”, la bilancia dell’esistenza, da dividere equamente fra vita privata e lavoro.

Dal lato opposto, da tempo si accumulavano lamentele e proteste interne verso lo smart-working, accusato di allungare all’infinito i processi decisionali infiniti, o ancora causa di interminabili e continue riunioni da remoto: “Riunioni preliminari alle riunioni preliminari alle riunioni che prendono decisioni, una fila più lunga di manager che sentono di dover rivedere un argomento prima che vada avanti, responsabili di iniziative che sentono di non dover fare raccomandazioni perché la decisione sarà presa altrove. Con questo, siamo consapevoli che alcuni dei nostri collaboratori possono aver impostato la propria vita personale in modo tale che il ritorno in ufficio per cinque giorni alla settimana richiederà alcuni aggiustamenti - ha aggiunto Jassy nel suo messaggio – ma mantenere una cultura forte non è un diritto di nascita”.

A questo punto, secondo gli esperti, rotta la diga non è escluso che altre grandi aziende decidano d accordarsi: “Alphabet”, l’holding proprietaria di “Google” al momento è ancora ferma al passaggio precedente: chiedere ai dipendenti la presenza in ufficio per almeno tre giorni a settimana.