Chi e cosa siano gli “influencer”, ormai l’abbiamo imparato tutti. Il nuovo mestiere, figlio dei social, affollato di gente capace di mettere insieme fortune perché capace di “dirigere” le intenzioni d’acquisto di migliaia di follower, definizione tecnica dei loro seguaci. Va da sé che un loro parere, una foto, un selfie, una clip o quant’altro, con in mano o addosso un prodotto, vale tanto oro quanto pesa, al punto da diventare la nuova dannazione degli uffici marketing.
E in una galleria di esempi, uno dei più eclatanti riguarda la discussa visita di Chiara Ferragni, la sovrana indiscussa degli influencer, alla Galleria degli Uffizi di Firenze, uno dei musei più celebri del mondo che in cerca di un rilancio nel momento di pausa del Covid, nell’estate del 2020 aveva pensato di invitare la signora Ferragnez. Una scelta che aveva scatenato critiche e polemiche, ma confortata dai numeri: +27% di visitatori da un weekend all’altro, dopo l’apparizione della Ferragni.
Ma com’era forse inevitabile, c’è un’altra categoria che si affaccia alla ribalta social, e questa volta preoccupa le stesse aziende che prima gioivano: i “deinfluencer”.
In pratica, persone che invece di esaltare i prodotti, ne denunciano apertamente i difetti, condannandoli all’insuccesso. La tendenza nasce negli Stati Uniti, pare ad opera di certa Maddie Wells, ex dipendente del colosso “Sephora” negli Stati Uniti, che dai propri profili social ha iniziato a raccontare i prodotti che i clienti restituivano con maggior frequenza, aggiungendo i loro commenti più sagaric. Da lì, è stato un crescendo di un fenomeno sempre meno di nicchia in cui i deinfluencer superano ormai per popolarità i vecchi e cari influencer. C’è chi, come Valeria Fride, che ha messo insieme 15milioni di visualizzazioni su TikTok facendo a pezzi i prodotti che mostrava, raccomandando di non comprare neanche uno. Il tutto, suggerendo soluzioni alternative più efficaci e molto spesso più economiche, compreso il fai-da-te.
A farne le spese, sono prima di tutto le/gli influencer, sempre più accusate di spacciare per buoni prodotti scadenti. Un po’ com’è accaduto a Mikayla Nogueira, oltre 14 milioni di follower su TikTok, messa in croce perché “beccata” in flagranza di reato con delle ciglia finte nel tentativo di esaltare gli effetti di un nuovo mascara.
Ma i deinfluencer sono una categoria diversa, che per essere credibile necessita di un dettaglio: restare impermeabile alle offerte di sponsorizzazione delle aziende, a volte talmente ghiotte da richiedere una forza di volontà non da poco. A risolvere la parte economica, che regola questo mondo, sono i milioni di visualizzazioni, che assicurano rendite tutt’altro che disprezzabili. Ma per tanti onesti che si dichiarano dalla parte “del popolo”, non è da escludere l’avvento di una seconda deriva del fenomeno: essere pagati da qualcuno per distruggere i prodotti della concorrenza.