“Questo film è il racconto molto personale di momenti con mio padre rimasti vividi e intatti nella mia mente in un susseguirsi di faccia a faccia. Un racconto personale che credo però trovi la giusta distanza nel fatto che in mezzo al padre e alla figlia c’è sempre il cinema come passione, scelta di vita, modo di stare al mondo”. Così la regista Francesca Comencini, ha scelto di spiegare il senso di “Tutto il tempo che ci vuole”, la sua pellicola più recente, in cui svela il rapporto con il padre Luigi, regista a sua volta, ma di quelli che hanno lasciato un segno indelebile nella storia del cinema italiano. Considerato uno dei padri della “commedia all’italiana” insieme a Dino Risi e Mario Monicelli, nel 1972 Comencini dirige “Le avventure di Pinocchio”, uno dei più celebri sceneggiati televisivi italiani, diviso in cinque puntate e magistralmente interpretato da Nino Manfredi, Gina Lollobrigida, Vittorio De Sica, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, Ezio Cannavale e Lionel Stander.
È proprio il set dello sceneggiato, a restare un momento indelebile stampato negli occhi di Francesca, allora una bimba affascinata dal mestiere di un padre tanto talentuoso quanto difficile.
Diventata donna e intrapreso anche lei una carriera da regista che le ha dato tante soddisfazioni, Francesca ha scelto di giocarsi la carta dell’autobiografia, un modo per rendere omaggio a suo padre, uomo con cui i rapporti sono stati complicati per lungo tempo, e ricordare ancora una volta la magia insostituibile di cui è capace il cinema.
I ricordi sul set, il racconto di episodi felici e altri meno e le notizie che negli anni Settanta riempievano le cronache, finiscono per mescolarsi diventando ognuno un’emozione diversa e palpabile.
“Dopo tanti anni passati a fare il suo stesso lavoro cercando di essere diversa da lui, ho voluto raccontare quanto ogni cosa che sono la devo a lui: ho voluto rendere omaggio a mio padre, al suo modo di fare cinema, al suo modo di essere, all’importanza che la sua opera e il suo impegno hanno avuto per il nostro cinema, all’importanza che la sua persona ha avuto per me. Forse, mi sono detta, forse ora sono abbastanza anziana ne sono capace, forse ora sarò all’altezza di questo racconto. Forse, ora, è arrivato il momento di dirgli grazie”.
Il tempo che ci vuole, la frase che dà il titolo al film, è quello necessario a salvarsi, un tempo che solo all’apparenza sembra infinito che cambia scena in un attimo, passando dai sogni puri dell’infanzia alla realtà più affilata e feroce, e poi gli errori, la vecchiaia che avanza, lo scoprirsi di colpo fragili e ancora feriti. Il tempo che ci vuole è quello che è servito a Francesca Comencini per accettare il periodo di rottura con il padre, tentando di fare pace con la sensazione di non riuscire ad essere mai grande com’è stato lui. L’unica via di fuga, anni dopo, era diventato rifiutare tutto, non fare nulla, lasciarsi vivere cercando realtà alternative e più semplici nella droga e aspettare che finalmente suo padre si mettesse al suo fianco, sull’orlo del baratro, per salvarla e darle la vita una seconda volta.
Una pellicola in cui Francesca Comencini riesce abilmente a ricreare le atmosfere di un tempo passato grazie anche alla credibile interpretazione dei due protagonisti: Fabrizio Gifuni nei panni di Luigi Comencini e Romana Maggiora Vergano in quelli della stessa Francesca.
LA TRAMA
Un padre e sua figlia abitano le stanze dell’infanzia: l’infanzia di lei e l’infanzia magica del racconto di Pinocchio, il film al quale sta lavorando lui. Il padre racconta alla figlia del suo lavoro e la ascolta, la osserva, le parla con serietà, compostezza, rispetto, come si parlerebbe non a un’adulta ma a una persona intera sì, la persona che è una bambina.
La bambina visita i set del padre, in cui pulsa la vita, il chiasso, l’umanità, il lavoro, l’affanno, l’infatuazione, la magia e il sudore. E lei si perde in quei mondi.
La figlia diventa una ragazza, l’incanto di quel limbo tra loro svanisce, la figlia lo sente, capisce che la rottura con l’infanzia è irreparabile. Lo capisce da come il padre la guarda. Pensa che non sarà mai alla sua altezza e precipita apposta per non esserlo davvero.
La figlia si droga e continua a tornare a casa cercando di fare finta di niente. Il padre all’inizio è disarmato, poi prende posizione e decide che non farà finta di niente. Smaschera la figlia, si affaccia su quell’abisso, con poche parole e molta presenza la porta via con sé, a Parigi.
CAST TECNICO
Regia – Francesca Comencini
Sceneggiatura - Francesca Comencini
Fotografia – Luca Bigazzi
Montaggio – Francesca Calvelli, Stefano Mariotti
Musiche – Fabio Massimo Capogrosso
Scenografia – Paola Comencini
Costumi – Daria Calvelli
Suono – Lavinia Burcheri
Produzione – Kavac Film con Rai Cinema, Les Films du Worso, IBC Movie, One Art
Prodotto da – Simone Gattoni, Marco Bellocchio, Beppe Caschetto, Bruno Benetti
Con il contributo di – Lazio Film Commission
Durata – 110’
CAST ARTISTICO
Luigi – Fabrizio Gifuni
Francesca – Romana Maggiora Vergano
Francesca (8 anni) – Anna Mangiocavallo
Clemente – Luca Donini
Cesare – Daniele Monterosi
Operatore – Lallo Circosta
Gatto – Luca Massaro
Volpe – Giuseppe Lo Piccolo
Andrea (Pinocchio) – Luigi Bindi
Iole (sarta) – Laura Borrelli
Autista prod. – Paolo Mannozzi
Signore (produttore) – Gianfranco Gallo
Capogruppo – Massimiliano Di Vincenzo
Scenografo – Massimo Cimaglia
Scultore – Paolo Serra
Maestra francese – Aphrodite De Lorraine
Professore liceo – Marco Belocchi
Ragazzo tossico – Leonardo Giuliani