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Mettere la parola fine alle vacanze è difficile, quasi impossibile. Della faccenda, per quanto possa apparire curioso, si è occupata più volte la scienza, per tentare di trovare un rimedio alla cosiddetta “vacation blues”, una condizione che porta in dono malumore, stanchezza, apatia, ansia, malinconia, sbalzi d’umore e mancanza di motivazione. Una forma acuta di stress da rientro che, secondo i dati Istat, colpisce il 35% degli italiani, con particolare intensità i soggetti compresi fra i 25 ed i 45 anni.

Per essere precisi, si tratta di un rifiuto psico-fisico al ritorno alla routine quotidiana abbandonata di colpo andando in vacanza, fase di passaggio che genera una sindrome comunque transitoria e gestibile che scompare nel giro di qualche settimana senza alcun bisogno di aiuti specialistici.

Ma a tutto questo, si è aggiunta da poco una ricerca dell’Università di Radbound, in Olanda, che ha voluto approfondire gli effetti della vacation blues alla ricerca di possibili soluzioni per renderla meno traumatica.

La ricerca, pubblicata sul “Journal of Occupational Health”, è arrivata alla conclusione che se è vero che in ferie bastano pochi giorni per ricaricare le batterie, è altrettanto vero che sono sufficienti poche ore per vanificare ogni cosa. E sentirsi come se non ci si fosse mai mossi da casa.

La buona notizia è che, secondo lo studio, i benefici delle ferie estive non sono affatto legati alla loro durata, anzi, è meglio organizzare più brevi periodi di vacanza rispetto ad un solo e lungo periodo, questo perché l’idea di dover ripartire a breve aiuta la mente a non sentirsi soffocata.

Secondo la ricerca esiste un numero minimo di giorni per notare un cambiamento, perché i benefici della prima settimana di relax sono più evidenti rispetto a quelle successive. Una conclusione a cui il team è giunto dopo aver studiato i sintomi che colpivano la categoria degli insegnanti, su cui ansia e depressione calavano di intensità nel corso della prima settimana di vacanza, per poi arrivare ad una sorta di equilibrio.

Il consiglio, al netto di un lavoro che lo permetta, è quello di suddividere il blocco delle vacanze in pause sparse lungo tutto l’anno che durino al massimo una decina di giorni.

La seconda soluzione, specie nei casi di vacation blues più intensa e difficile da sconfiggere, è l’anno sabbatico, il periodo di completa interruzione della carriera lavorativa.

Il professor Kira Schabram, docente all'Università di Washington, all’anno sabbatico ha dedicato buona parte della carriera e una ricerca pubblicata nel 2023 che aveva fra i volontari 50 persone che erano riuscite a ritagliarsi i 12 mesi di pausa traendone effetti assai positivi nella vita privata.

Certo, concedersi un anno lontano dal lavoro porta in dote almeno due problemi: primo, lavorare in un posto che lo contempli, secondo, riuscire a sopravvivere senza poter contare sullo stipendio.

“Dopo tre mesi, i cambiamenti nello stato di salute e nell'umore dell'ex lavoratore sono molto più potenti di quelli di una semplice vacanza - ha spiegato il professor Schabram - in alcuni casi, si tratta di cambiamenti che ridefiniscono la vita e orientano da capo una carriera”.