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Per la storia dell’arte, la “Notte stellata” di Vincent Van Gogh è un capolavoro assoluto, insieme alla Gioconda di Leonardo un’icona della pittura occidentale conservata con ogni riguardo nelle sale del MoMA di New York.

È uno dei tanti indizi di una genialità che il pittore olandese ha seminato lungo i 900 dipinti realizzati nel corso della sua breve e tormentata vita, chiusa a 37 anni in circostanze mai del tutto chiarite. Ma adesso, è la scienza a sostituirsi all’arte per aprire un altro capitolo, del tutto inedito, su un artista che secondo la storia era affetto da disturbi mentali che lo perseguitavano.

Secondo uno studio recentissimo, pubblicato sulla rivista “Phisic of Fluid”, Van Gogh nel dipingere la Notte stellata non solo è riuscito a creare uno dei capolavori più suggestivi della storia dell’arte, ma ha saputo trasferire su tela in modo incredibilmente perfetto le leggi scientifiche sulla fluidodinamica che governano i moti nell’atmosfera. A dirlo è lo studio, realizzato da un team di scienziati francesi e cinesi, che ha deciso di testare la credibilità scientifica della tela, dimostrando che Van Gogh conosceva così bene i fenomeni naturali da riuscire a riprodurli fedelmente sulle sue tele. “La precisa rappresentazione della turbolenza di Van Gogh potrebbe derivare dallo studio del movimento delle nuvole e dell'atmosfera o da un innato senso di come catturare il dinamismo del cielo,”, ha commentato il team presentando la ricerca.

L’analisi si è concentrata mettendo a confronto le teorie che spiegano la turbolenza atmosferica con le pennellate di 14 forme vorticose che nel dipinto circondano le stelle, la Luna e Venere. Di ogni colpo di pennello è stata esaminata la forma e i diversi parametri di luminosità che tutti insieme ricostruiscono il movimento fisico dell’aria e l’energia cinetica del cielo, invisibile all’occhio umano.

In pratica, ciò che affascina nel paesaggio notturno di Saint-Rémy-de-Provence, sembra rispondere ad alcune leggi fondamentali dello studio della turbolenza come quella di Kolmogorov, matematico russo che nel 1941 ipotizzò che anche attraverso le scale più piccole si può descrivere la turbolenza come universale, indipendentemente dal fenomeno fisico che l’ha generata, o ancora la scala di Batchelor, che spiega le leggi dell'energia della turbolenza atmosferica passiva e su piccola scala.

“Un risultato davvero curioso, che dimostra come van Gogh avesse intuito un fenomeno naturale, quello della turbolenza, che ancora oggi è particolarmente complesso da descrivere nei modelli meteorologici - ha confidato all’Ansa il fisico dell’atmosfera Lorenzo Giovannini dell’Università di Trento - la rappresentazione precisa della turbolenza di Van Gogh potrebbe derivare dallo studio del movimento delle nuvole e dell’atmosfera o da un innato senso di come catturare il dinamismo del cielo”.

Secondo gli esperti dipinto nel giugno del 1889, durante il ricovero dell’artista nell’ospedale per alienati mentali di Saint-Rémy-de-Provence, il quadro riflette lo stato emotivo e psicologico dell’artista, diventando l’espressione più puro del tumulto interiore che tormentava la mente di Van Gogh. La data sarebbe confermata da una lettera al fratello Théo in cui l’artista gli annuncia di aver completato “uno studio sul cielo stellato”.

Il quadro fu spedito al fratello Théo insieme ad altri nove dipinti: meno di un anno dopo, Vincent Van Gogh si sarebbe tolto la vita sparandosi un colpo di pistola alla tempia in un campo di grano. La tela passò nelle mani della vedova di Théo e dopo vari passaggi di proprietà - entrando e uscendo da diverse collezioni private - nel 1941 fu definitivamente acquistato dal celebre museo newyorkese.