di Ombretta Bertoldo - Canavesealcentro
Ombretta, Canavesana da generazioni, ha vissuto a lungo a Torino dove si è laureata con lode in Psicologia del Lavoro. Ha scelto di tornare in Canavese con la sua famiglia, considerandolo il luogo giusto per "radicarsi". Ha esperienza in ambito Human Resources in contesti sia multinazionali sia di start-up d'impresa ed è oggi Head of HR di una realtà di servizi informatici nel settore Energy & Utility. Collabora, parallelamente, come consulente per la Pubblica Amministrazione operando negli Organismi di Valutazione della performance del personale Dirigente. E' interessata da sempre ai temi della solidarietà sociale, dell'educazione, di digitalizzazione ed innovazione oltre che di benessere psico-fisico.
Un giorno Alice arrivò ad un bivio sulla strada e vide lo Stregatto sull'albero.
- "Che strada devo prendere?" chiese.
La risposta fu una domanda
- "Dove vuoi andare?"
Spesso si tenta di rispondere a questa domanda, nel mondo delle organizzazioni, in modi diversi. La formazione è una possibile risposta, che indica una strada percorribile, identificando mezzi a supporto per percorrerla.
Come parlare di formazione nel mondo attuale, senza cadere nei soliti cliché?
Partiamo da quello che sta accadendo a livello nazionale. La formazione è una delle voci più importanti contenute nel Pnrr-Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Una delle missioni del Pnrr riguarda le politiche per il lavoro, che ha a disposizione un fondo di circa 6,66 miliardi di euro, di cui 4,4 miliardi di euro per il triennio 2021-2023 specifici per la riqualificazione del personale.
Sicuramente un messaggio forte, che darà input per un investimento importante in crescita e riqualificazione.
Penso sia importante, però, non innescare meccanismi del tipo “ho soldi a disposizione, li uso” senza aver prima pensato bene al cosa e al come. Questo vale sia per le organizzazioni che organizzano i piani formativi sia per le persone che vogliono usufruirne.
Per “cosa” intendo, banalmente, ciò di cui si ha bisogno. Come essere umani, siamo tentati di utilizzare quel che c’è anche al di là di cosa serva realmente. Questo è molto bello dal punto di vista culturale perché implica poter spaziare e fruire anche di ciò che non è identificato come bisogno primario. D’altro canto, rischia di mettere in secondo piano il fatto che, quando studiamo qualcosa, tendenzialmente, lo facciamo per ottenere un obiettivo. Dovremmo, dunque, sapere da cosa partiamo e cosa vogliamo.
Il “come”, invece, implica chiedersi quale sia la modalità migliore per riuscire ad apprendere.
Come sapete mi piace leggere i dati ed analizzarli, quindi mi baso su alcune ricerche condotte proprio su come coinvolgere le persone attraverso programmi di formazione e sviluppo, che li aiutino davvero a crescere e acquisire competenze. Questo significa utilizzare modalità che siano veramente attrattive, fruibili e che osino uscire dai classici canoni.
Quello che emerge è che, negli ultimi anni, la formazione viene intesa nel senso più ampio di scambio tra i partecipanti, superando la classica modalità di trasferimento unidirezionale di conoscenze in aule predefinite, siano esse fisiche o virtuali, in momenti codificati. Per questo motivo, acquisiscono sempre più valore i momenti formativi che permettano il cosiddetto “bite - size learning”, cioè l’apprendimento “ a morsi”, brevi pillole di formazione semplici e veloci da fruire, inserite in alcuni momenti della giornata lavorativa e con format coinvolgenti. La cultura digitale ci insegna (nel bene e nel male) ad interiorizzare i contenuti in modo veloce ed intuitivo, utilizzando spesso le modalità audio e video. In tal caso, la formazione è un momento specifico in cui non si approfondisce un tema specifico, ma si fa una panoramica generica di cosa s’intende trattare. I momenti di approfondimento sono lasciati a momenti successivi, a cui parteciperà solo chi è veramente convinto di voler andare più a fondo, a quel punto dedicando risorse di tempo ed economiche. Parlo di risorse economiche perché, molto spesso, le “pillole” di formazione sono gratuite, gestibili tramite webinar, con poco materiale strutturato a supporto.
Il fatto di modulare i contenuti e suddividerli in diversi momenti risponde ad un’altra esigenza che emerge in modo prepotente: avere piani agili e flessibili, capaci di essere rimodellati per accogliere esigenze emergenti nel tempo, ad approfondimenti successivi. Questo porta ad una formazione personalizzata nelle scelte e nei contenuti, in cui il singolo sente che sono colte le proprie specifiche esigenze.
Un altro esempio interessante di format è quello del gioco. Si creano giochi, competizioni, nell’ottica di coinvolgere i partecipanti, assegnando loro delle piccole sfide e comparando i risultati.
Questo approccio, genericamente chiamato “gamification”, diventa ancora più interessante nel momento in cui molte delle interazioni avvengono in modalità virtuale. E’ provato che l’attenzione verso un interlocutore che parla attraverso il filtro del monitor, anche se visibile attraverso webcam, dura massimo 3 minuti. Trovare il modo di mantenere l’interazione ed il coinvolgimento diventa, a tutti gli effetti, uno degli ingredienti fondamentali affinché l’intervento formativo abbia successo.
Io penso che tutte queste modalità siano da comprendere e sperimentare…potrebbero esserci delle belle sorprese e ci potrebbe sentire più protagonisti sia nel creare contenuti sia nel fruirne! (www.canavesealcentro.it)