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di Giorgio Cortese

Fra Dolcino muore sul rogo a Vercelli  il 1 giugno del 1307 dopo atroci torture. Fra Dolcino predicava che la Chiesa dovesse essere povera e criticava la corruzione nel clero. La sua presa sui popoli delle valli piemontesi è così potente che il Vescovo gli scatena contro una crociata. Fra Dolcino è stata una controversa figura dal grande e improvviso seguito popolare. Originario del Novarese, per alcuni cronisti parente dei conti Tornelli, per altri figlio illegittimo di un prete, di lui non si conosce nemmeno la data precisa della nascita, da collocare intorno al 1250. Il cronista Benvenuto da Imola lo descrive come un personaggio fuori dal comune, dal carattere aperto e dalla straordinaria eloquenza. Istruito in retorica e latino, diventa seguace di Gherardo Segarelli, fondatore della setta rigorista degli Apostolici. I precetti morali sono semplici, efficaci e di grande impatto sociale: feroce critica alla corruzione del clero, ricerca della povertà estrema e recupero dello spirito evangelico delle origini, il tutto condito con un po’ di millenarismo, nell’attesa dell’imminente fine dei tempi.

Il successo della sua predicazione è enorme ed immediato, tanto da suscitare l’allarme delle gerarchie ecclesiastiche che, preoccupate che le parole infuocate di Dolcino possano far presa sulle mai sopite velleità autonomistiche delle comunità valligiane, da sempre contese dai potenti del Novarese, gli mettono alle calcagna uno dei massimi inquisitori del tempo, il domenicano Bernardo Gui. Dolcino si ritira con i suoi seguaci in Val Sesia, tra loro Longino Cattaneo da Bergamo, Federico da Novara, Valdrico da Brescia, Alberto Carentino e la sua compagna, la bellissima Margherita da Trento, e diventa obiettivo di una vera e propria crociata scatenata dal vescovo di Vercelli Raniero degli Avogadro con il beneplacito di Papa Clemente V, già artefice della fine dei Templari. La resistenza dei dolciniani si concentra tra l’alta Val Sesia, la Valle Artogna e la Valle di Rassa, tra Campertogno, Vasnera e la “Parete Calva”, e alterna momenti di guerriglia a saccheggi, stragi e devastazioni.

Provato dal rigore dell’inverno, trascorso a 1400 metri di quota tra sporcizia, fame e malattie, Dolcino tenta il tutto per tutto ritirandosi nel Biellese ma alla fine deve soccombere al freddo e all’inedia. Il 23 marzo 1307 l’esercito comandato da Giacomo e Pietro di Quaregna e Tommaso Avogadro di Casanova, sconfigge i rivoltosi asserragliati sul Monte Rovella e, lasciati sul campo decine di morti, cattura Dolcino, Longino e Margherita. Il processo che segue viene condotto tra atroci torture e si conclude con il rogo: Margherita viene bruciata sul greto del torrente Cervo così come Longino, Dolcino trova la morte a Vercelli il primo giugno del 1307. Della vicenda si impadronisce subito la leggenda. Sulla “Parete Calva” si narra di voci e apparizioni, di lapidi incise, ossa, catene di ferro e armi, tragiche testimonianze di quei terribili mesi d’assedio La memoria storica degli eventi risuona ancora oggi a Rassa e al Piano dei Gazzari, luogo dove alcuni situano il campo di Dolcino, mentre sul monte Rubello, nel territorio di Trivero, un moderno cippo ricorda l’epopea e i suoi protagonisti, emblemi di “resistenza montanara”. Molti giurano che, nelle notti stellate, la bella Margherita cavalchi ancora il suo destriero con i capelli sciolti al vento. Dolcino e la sua epopea hanno scosso la coscienza dei contemporanei e lasciato un segno profondo nella storia. (Giorgio Cortese)