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di Giorgio Cortese

Le lingue celtiche costituiscono un gruppo di idiomi indeuropei più o meno strettamente imparentati tra loro. Queste lingue, nel momento di massima espansione delle popolazioni che le parlavano, erano diffuse in gran parte dell’Europa, dall’Italia settentrionale alle isole britanniche e dalla penisola iberica al Reno e ai Balcani, oltre che in alcune zone dell’odierna Turchia. Con la romanizzazione, però, queste lingue vengono gradualmente abbandonate, salvo che nelle isole britanniche, a favore del latino. La velocità del processo varia molto da zona a zona, in alcune aree della Francia gli studiosi ipotizzano che esistevano aree dove si parlava il celtico almeno fino al III secolo d.C., e coinvolge dapprima le città e le élites, poi, molto più lentamente, le aree rurali e gli strati più bassi della popolazione.

Ha luogo però, dai primi contatti tra romani e celti fino al Medio Evo, anche un processo opposto, certo di proporzioni molto inferiori: parole celtiche vengono assorbite dal latino, soprattutto da quello parlato, a volte, ma raramente, con il tramite del greco o delle lingue germaniche, per poi passare alle moderne lingue, romanze o neolatine, che da esso derivano; tra queste, l’italiano. Nella nostra lingua, attualmente, sono poco più di sessanta le parole di sicura derivazione celtica, mentre per altre trentacinque l’etimologia è più controversa. Alcune di esse sono passate all’italiano direttamente dal latino. A volte, invece, il tramite latino/italiano è costituito dai dialetti; più spesso dal francese o dal provenzale.

Troviamo parole che dovrebbero essere riconducibili al celtico quali: ardesia, bacino, bacio, bagliore, baleno, barbugliare, barolo, belga, biglia, branca, brocca, bugliolo, camicia, correggia, germano, gigaro, gladio, gonna gladio, gonna, gorbia, ibisco, imbarazzo, lai, lancia, losanga, ramarro, roccia, samara, sbranare, segugio, taglione, tinca, tonnellaggio, tonsilla, trinciare. Va poi considerato separatamente il caso di alcuni termini di origine celtica entrati nell’italiano in tempi relativamente recenti, provenendo dall’inglese: whisky, basket, o dal francese: cloche, berceau, quai, che mantengono nella nostra lingua la forma straniera originaria. Prevedibile è l’etimologia celtica di parole come: gallo, druido, bardo.

La categoria più numerosa, però, è quella legata al mondo animale: nomi di animali selvatici: allodola, alosa, daino, salmone, e domestici: montone, palafreno, veltro, nonché termini indicanti parti o caratteristiche degli animali, quali: becco, garrese, garretto, leardo, tipo di mantello equino, e omaso, parte dello stomaco dei ruminanti. Non mancano poi i nomi relativi a piante ed erbe: bettonica, betulla, brugo, lantana, santonina, e ad elementi del paesaggio, quali: barena, terreno che emerge dalla laguna, landa, marna un tipo di roccia. Riconducibili al mondo contadino sono: benna e brago, questo ultimo per indicare la melma del porcile, barolo, l’orto, bugno, sorta di arnia; appartengono invece alla sfera dell’artigianato e della lavorazione delle materie prime : bitume usato come colla, carpentiere, carro, carrucola, ghiera (bordo del pozzo), miniera, tannino; a quella del commercio: cambiare, nel senso originario di “fare uno scambio”.

Hanno pure origine celtica alcuni nomi legati all’abbigliamento berretta, brache, drappo, pezza, saio e agli ornamenti personali, vera. In cucina ricordiamo il paiolo, il mattarello; a tavola la galletta e non poteva essere altrimenti la cervogia, la birra. All’ambito militare e guerriero appartengono briga, originariamente “forza”, gagliardo e giavellotto, poi anche quelle am ministrative quali: ambasceria, valvassino, valvassore, vassallo. Di origine celtica sono pure i verbi abbonare, abbrivare, basire, camminare, ingombrare, radiare, trangugiare, camminare, ingombrare, radiare, e trangugiare. I sostantivi: bolgia, briciola, brio e canto con significato di angolo, gota e lega, come misure lineari. In conclusione, se si escludono le parole entrate nell’italiano per via colta, i già citati bardo, druido, gallo, tratte dagli autori latini, e quelle di ambito politico- amministrativo.

Come si vede risulta evidente che quasi tutti i termini elencati indicano elementi: piante, animali, materiali, strumenti, azioni sono propri di una società essenzialmente rurale, ma con una spiccata propensione artigianale, qual era appunto quella celtica; proprio nelle aree rurali, d’altra parte, questa civiltà resiste più a lungo. Può stupire, per contro, la scarsità di termini militari: ma con la romanizzazione la figura del guerriero celta sparisce dall’Europa continentale molto più rapidamente di quella del contadino; e quando, secoli dopo, il crollo dell’Impero romano segna in alcune zone il riemergere del sostrato locale, il ruolo di bellatores è saldamente nelle mani dei popoli germanici invasori, le cui lingue hanno infatti parte notevole nella formazione del lessico militare italiano.