di Giorgio Cortese
Oggi il modo di dire “Salvare la ghirba”, vuole dire sopravvivere a un grave pericolo, modo di dire molto usato all’inizio dai reduci di guerra. Ma da dove arriva questo modo di dire, la parola ghirba deriva dal lemma arabo qirba, che indicava un otre di pelle usato da usato da tribù dell’Africa per trasportare l’acqua: la parola, portata in Italia dai soldati italiani della guerra d’Africa del 1895-96 e di quella libica del 1911-13, è rimasta nell’uso di reparti militari, soprattutto alpini, per indicare l’otre di pelle per il rifornimento di acqua, e presso i campeggiatori, per indicare il recipiente di tela impermeabilizzata, o di materiale plastico, che generalmente viene appeso ad alberi o tende per mantenere fresca l’acqua da bere.
Secondo alcuni il detto è entrato stabilmente in uso tra i militari italiani nel 1911, durante la guerra contro la Turchia per la conquista della Libia, con il significato prima di “pancia” e poi di “vita”. Dall’uso fatto dalle truppe coloniali italiane, specialmente degli alpini che chiamavano così un otre in pelle o tela per portare acqua, vino o caffè, è poi nato il detto portare a casa la ghirba o salvare la ghirba nel senso di salvare la pelle o “Lassejè la ghirba, lasciarci la ghirba”, nel senso di perdere la vita.
La ghirba, la pelle, come metafora della vita. Nelle attività di campeggio la ghirba, oggi anche in materiali plastici, è un contenitore in cui conservare in fresco l'acqua e generalmente appeso nei pressi della tenda. Una curiosità finale, durante la Grande Guerra “La ghirba” era il titolo di un quotidiano di trincea pubblicato nel 1918 a Castiglione delle Stiviere dall'editore G. Bignotti & figli.