di Giorgio Cortese
Oggi le indossiamo ogni giorno, potendo scegliere tra un’infinità di modelli femminili e maschili, ma nei secoli passati le mutande così come le conosciamo, pur essendo indumenti molto semplici, non esistevano o quasi. I moderni slip e boxer, pensati per coprire la zona intima maschile, hanno infatti visto la luce solo nel XX secolo, mentre in precedenza si ricorreva a soluzioni meno pratiche e più ingombranti. Torniamo allora indietro nel tempo per scoprire come sì è evoluto il principale elemento della nostra biancheria intima, ai giorni nostri considerato indispensabile per ragioni igieniche prima ancora che di pudicizia. Tralasciando le bibliche foglie di fico di Adamo ed Eva, le prime tracce di indumenti vagamente simili a mutande risalgono all’antico Egitto, dove si usavano fasce coprenti realizzate in lino e simili a delle piccole sottovesti. Accessori di questo genere, finemente decorati con materiali preziosi, sono stati per esempio rinvenuti nella tomba del faraone Tutankhamon nel XIV secolo a.C.
Indumenti analoghi, consistenti in piccole tuniche con cui avvolgere la parte del corpo tra le cosce e il bacino, si diffusero quindi sia in Grecia, dove la nudità, specie maschile, era considerata la norma, sia nell’antica Roma. Tra i Romani questo tipo di veste era detta subucula, intima, ma nell’Urbe era in uso anche un tipo di mutanda più striminzita, adatta alla pratica sportiva o alle attività balneari e nota come subligaculum, da subligare, legare sotto. Questi antenati dei nostri slip erano pezzi di stoffa o lino in cui un lembo veniva legato attorno alla vita e l’altro passato intorno alle cosce, onde coprire appunto le parti intime. Di origine etrusca, il subligaculum era un capo sostanzialmente unisex, e seppure ne facessero maggior uso i maschi, è nella versione femminile che è divenuto celebre, grazie al mosaico tardo-imperiale delle “fanciulle in bikini”, nella romana Villa del Casale di Piazza Armerina in Sicilia. In varie aree del mondo, in epoche antiche videro infine la luce diversi antenati del moderno perizoma, dal greco, cingere attorno, in tessuto o in pelle, ma nel Medioevo l’intimo non conobbe novità degne di nota; vennero realizzate in lana, pelle o tessuto, e dette brache o braghe, termine usato anche per i pantaloni, di origine germanica, le mutande medievali arrivavano al ginocchio.
E fu qui nella Medioevo che presero il loro nome, dal latino mutare, cambiare. Fatta eccezione per i nobili, che si facevano confezionare intimo personalizzato, per secoli si andò avanti con la tradizione greco-romana, che prevedeva di non indossare nulla sotto gli abiti e di ricorrere a ingombranti sottovesti oppure di avvolgere le parti intime con fasce improvvisate e ben poco igieniche. Le cose iniziarono a cambiare nel Cinquecento, per merito, si racconta, di Caterina de’ Medici, moglie del sovrano Enrico II di Francia. La regina, abile cavallerizza, dopo aver introdotto un nuovo modo di cavalcare, detto all’amazzone, cioè con il piede sinistro nella staffa e l’altra gamba di traverso sulla sella, ideò comodi mutandoni che ben si adattavano a coprire sia le zone intime sia la parte alta delle cosce. Confezionati in cotone o fustagno, questi indumenti, progenitori diretti della culotte, si diffusero tra le nobildonne, in Italia, ad anticipare i tempi fu Isabella d’Este, e questa moda si impose negli ambienti aristocratici europei. Questi accessori cominciarono a diventare uno strumento di seduzione, confezionati con tessuti d’oro e d’argento e ornati con ricami e pietre preziose.
Tuttavia, sempre nel XVI secolo, le braghesse, così erano dette le mutande nella versione lunga fino al ginocchio, divennero un indumento tipico delle prostitute, che usavano impreziosirle con nastri. La Chiesa arrivò così a osteggiarle, reputandole un capo osceno e sconveniente: anche per questo, fino al XVIII secolo, mutandoni e affini andarono a riempire solo pochi selezionati guardaroba delle classi più elevate. L’Ottocento segnò una svolta nella storia delle mutande, che grazie alla Rivoluzione industriale cominciarono a essere prodotte in serie, divenendo più accessibili. Al principio del XIX secolo questi accessori erano ancora oversize, arrivando anche fino alle caviglie. Nel 1906 videro la luce i moderni slip, dall’inglese to slip, ossia far scivolare, infilare, mutande corte e aderenti che iniziarono a riscuotere successo tra gli anni Trenta e Quaranta, a partire dagli Usa, invadendo il mercato mondiale dagli anni Sessanta, in versione femminile e maschile.
Nel decennio seguente cominciarono quindi a spopolare perizoma e tanga, di origine brasiliana, mini-mutandine, quasi invisibili, anche sotto gli abiti attillati. Negli anni Ottanta, per i gli uomini fu il turno dei boxer, simili ai calzoncini da pugile, da qui il loro nome, la cui origine risale però al 1925, anno in cui furono ideati dallo statunitense Jacob Golomb. Successivamente questi modelli furono realizzati anche con tessuti attillati, spesso con le griffe in vista sull’elastico, da porre, secondo la moda, fuori dai pantaloni a vita bassa. Dagli anni Novanta hanno fatto la loro comparsa anche mutande utili a sollevare il sedere, versione gluteo del reggiseno “push up”, nato nel 1961. A queste evoluzioni nella foggia, utili al comfort e ai capricci della moda, si sono inoltre accompagnati importanti sviluppi riguardanti i materiali per la biancheria intima, con un giusto equilibrio tra elementi sintetici e fibre naturali: tra i modelli più evoluti, si segnalano oggi quelli assorbenti.