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di Giorgio Cortese

Shoah è un vocabolo ebraico che significa catastrofe, distruzione. Esso è sempre più utilizzato per definire ciò che accadde agli ebrei d’Europa dalla metà degli anni Trenta al 1945 e in particolar modo nel quadriennio finale, caratterizzato dall’attuazione del progetto di sistematica uccisione dell’intera popolazione ebraica.  

Tale progetto venne deciso e concretizzato dal Terzo Reich nel corso della Seconda guerra mondiale e venne attuato con la collaborazione parziale o totale dei governi o dei movimenti politici di altri Stati; venne interrotto dalla vittoria militare dell’Alleanza degli Stati antifascisti e dei movimenti di Resistenza. Se invece i vincitori fossero stati la Germania nazista, l’Italia fascista, la Francia di Vichy, la Croazia degli ustascia, Ungheria, non un solo ebreo sarebbe rimasto in vita nei territori controllati da questi. Ricordarsi di quelle vittime serve a mantenere memoria delle loro esistenze e del perché esse vennero troncate. E la memoria di questo passato serve ad aiutarci a costruire il futuro. Eppure, in questi vent’anni caratterizzati dall’istituzione del Giorno della Memoria, in Italia dal 20 luglio del 2000, abbiamo assistito a una vera e propria esaltazione del ruolo del sopravvissuto che è stato spesso chiamato a salvaguardare la coscienza pubblica, ricorrendo al ricordo di un trauma e di un dolore sempre vivi.

Eletto dai media, dalle istituzioni e dal pubblico ad attore privilegiato di un’immane tragedia, paradossalmente, ha favorito la diffusione di una storia intima, frammentata, episodica seppur drammatica, poco idonea a corrispondere alla necessità di rappresentazione di un quadro storico più generale e complesso. Questo modo di fare memoria è diventato così ricorrente da far pensare a molti che il dramma dello sterminio possa essere dimenticato, fino a scomparire dai libri di storia, quando l’ultimo sopravvissuto non sarà più in vita. La storia di milioni di vittime innocenti potrebbe allora risolversi in un’alzata di spalle, perché la storia lascia dietro di sé qualunque tragedia. Ecco il tema da riflettere, Auschwitz e il futuro della memoria, oggi assistiamo fin dall’inizio, la presenza di una rimozione frequente quando si parla di testimoni, costituita da un riferimento quasi sempre esclusivo alle vittime.

Secondo lo storico Raul Hilberg i protagonisti dell’Olocausto appartenevano a tre ordini: i carnefici, le vittime e gli spettatori; tutti testimoni di quell’evento. I carnefici erano sulla scena, fin dall’inizio: sapendo tutto, perfino il perché, eppure, nella memoria collettiva proprio loro sono un amalgama informe, tutt’al più confusi nel concetto di uomini comuni o in quello filosofico di Hannah Arendt definì la banalità del male. Quanto agli spettatori, sappiamo da tempo che hanno visto compiere il genocidio, e che molti di loro non hanno fatto nulla o poco, di quanto potessero fare. Fermiamoci a riflettere sulle forme di memoria degli anni Ottanta e Novanta e quelle del nuovo millennio, dove il testimone è stato visto come maestro di vita e la figura del sopravvissuto come “Testimonial”, e l’attenzione nei confronti dei pochi sopravvissuti è andata via via crescendo, travalicando i contorni della loro specificità in quanto reduci dei campi nazisti.

La fine dell’ultima generazione delle vittime sarà dunque lo spartiacque della nuova stagione della storia della memoria della Shoah? La frenesia generale di accaparrarsi le ultime parole dei testimoni vedrà ancora il prevalere di un sapere ricavabile dalla narrazione scritta o registrata a svantaggio della ricerca storica, sempre viva e capace di ricondurre al presente le cause del genocidio e le esperienze di vita dei deportati. Tra l’oblio dell’evento e la valorizzazione della ricerca, sembra così farsi spazio un’alternativa che è quella che ha archiviato la tragedia dell’Olocausto, l’ha fatta propria, ma solo con il carico di emozioni e commozione destinate a portarlo assai lontano dal ricorso a una crescente consapevolezza del passato. Per questo dobbiamo riflettere sul modo in cui oggi maneggiamo la memoria e ricorriamo alla storia, per non arrivare a imbalsamare la sofferenza degli ultimi testimoni e di sei milioni di ebrei vittime della ferocia nazista. (blog di Giorgio Cortese)